Il nodo di Gaza – Dalla stampa israeliana dure accuse al governo

Fallimento, disastro, fiasco sono parole ricorrenti sulle odierne pagine dei giornali israeliani riguardo allo scontro di lunedì mattina fra le forze di difesa di Israele e gli attivisti di Freedom Flottilla. I punti di vista sono molteplici, spesso contrastanti ma su una cosa esperti e analisti concordano: non doveva finire in questo modo. Un’affermazione che sembra retorica quando si parla di vittime, morti e feriti ma che nasconde un problema molto complesso: il futuro di Israele e la sua legittimazione a usare la forza.
Dalle colonne del moderato popolare Yediot Ahronot arriva la critica di Eitan Haber, noto giornalista israeliano ed esperto in questioni militari, che scrive “Israele ha sempre una sola soluzione a ogni problema: la forza, l’esercito, l’IDF. Ci saranno quelli che diranno ‘lo stato non deve esitare. Ora avranno ancora più paura di noi’. Chi pensa in questo modo e chi cede a questa tentazione vive in un epoca passata; conviene che si svegli da questi sogni devianti. Noi viviamo nel 2010 e la risposta dell’esercito di ieri mattina appartiene al secolo scorso”.
Una visione diametralmente opposta è, invece, quella del caporedattore del Jerusalem Post, Caroline Glick, che rimprovera al governo israeliano di non aver capito a priori la situazione internazionale: una continua campagna mediatica anti-israeliana sfociata, per esempio, nella risoluzione Onu contro la proliferazione di armi nucleari. “C’è un fallimento cognitivo – scrive la Glick – da parte dei nostri leader nel comprendere la natura della guerra condotta contro di noi. Ed è questo errore fondamentale di conoscenza che ha portato sei soldati in ospedale e la riduzione in brandelli della reputazione internazionale dello stato ebraico”. La giornalista del Jerusalem parla di Israele come “il bersaglio di una guerra di informazione di massa, senza precedenti per scala e scopo”. Il clima creato dai media e da alcuni governi sarebbe, secondo la Glick, il vero problema da analizzare: starebbe crescendo a dismisura, infatti, un movimento per delegittimare Israele e la sua possibilità di difendersi.
Amos Harel, noto esperto militare del quotidiano Haaretz, tradizionalmente il più critico nei confronti dell’attuale esecutivo, condanna non la risposta armata del commando alle violenze degli attivisti, ma la modalità con cui è stata portata avanti l’operazione. “L’inferiorità numerica dei commando israeliani – scrive Harel – ha causato un grave pericolo per tutti i soldati, portando a quell’inizio di linciaggio da cui poi è nata la risposta armata dell’esercito. Il risultato, in ogni caso, è stato orribile: alcuni civili sono stati uccisi e i manifestanti hanno lanciato un soldato dal piano superiore al piano inferiore. Non sono solo filmati terrificanti, è un umiliazione nazionale e un colpo alla deterrenza israeliana. La domanda è: perché i soldati sono stati messi in questa situazione?”.
D’accordo con Harel, il commentatore Avi Trengo di Yediot Ahronot che punta il dito contro il ministro alla Difesa Ehud Barak e sarcastico domanda “che cosa si aspettava Barack? Pensava di poter avere tutta la torta e poterla mangiare indisturbato?”. Il problema, secondo Trengo, è stato tutto il comportamento tenuto nell’ultimo periodo da Barak, ovvero troppo sensibile: “Israele sta perdendo il suo potere deterrente, le truppe israeliane sono percepite come deboli, e quando incontrano difficoltà reale la risposta immediata è l’utilizzo della violenza che ci fa guardare male dal mondo intero. Ma – continua Trengo – quello che sembra brutalità e stupidità israeliana ha implicazioni strategiche: crea una situazione in cui Israele non sarebbe in grado di usare la sua forza in modo efficace. Nel lungo periodo, è una ricetta per il disastro nazionale”.
“Da adesso in poi sarà sempre più dura” aggiunge sul Jerusalem Post l’analista politico Gil Hoffman “anche se l’IDF aveva il pieno diritto di salire a bordo della nave nel momento in cui lo ha fatto e di aprire il fuoco nel momento in cui l’ha fatto, tutto ciò non ha importanza. Perché la percezione è più importante della realtà. E la realtà adesso è che Israele affronta un periodo molto difficile”. Il futuro sembra preoccupare molto il principale corrispondente politico del Jpost “i negoziati preliminari – sostiene Hoffmann – con i palestinesi potrebbero fermarsi, i rapporti fra Israele e Turchia potrebbero essere caduti in una crisi irreparabile, e il mare calmo in cui molti israeliani
pensavano di navigare si sta trasformando in una tempesta che non si quieterà tanto presto”.

Daniel Reichel