valori / antisemitismo

“Rabbi dice … dai lo stesso valore all’esecuzione di un precetto che ti sembra meno importante come al precetto che ti sembra importante perché non conosci la ricompensa per l’osservanza dei precetti…” (Pirqè Avot; 2,1).
Una delle caratteristiche fondamentali della struttura religiosa ebraica è l’assenza di una scala di valori. La gerarchia di valori appartiene a una dimensione generalmente soggettiva, che non lascia necessariamente spazio al rapporto collettivo e prescinde talvolta dall’interazione tra gli individui.
Quel che è percepito dal singolo come valore assoluto è realtà soggettiva e non è oltretutto comunicabile agli altri, poiché il linguaggio non è coestensivo con i sentimenti e non sa comunicare emozioni e percezioni. Su concetti, percezioni e sentimenti non si può fondare il senso della collettività, che si attualizza invece nella sfera dell’azione e della realizzazione di progetti comuni. Ciò include anche una prassi oggettivata dei precetti.

Roberto Della Rocca, rabbino

Vale la pena di fare una riflessione sul rapporto del Pew Research Center di cui parla ieri l’Herald Tribune, un confronto fra l’antisemitismo e l’ostilità antiislamica in vari paesi d’Europa e del mondo. Vale la pena, perchè nel confronto il sondaggio pone, mi sembra, problemi nuovi.
I paesi europei in cui la percezione negativa degli ebrei è più forte sono la Spagna, la Polonia e la Russia, quelli in cui è minore sono la Gran Bretagna e, fuori dall’Europa, gli Stati Uniti. In tutti i paesi, l’ostilità antiebraica è accompagnata dall’ostilità antislamica, più forte di quella antiebraica ( e questo non sorprende). Ma sentimenti negativi verso ebrei ed islamici sono anche fortissimi in molti paesi asiatici, come India, Cina, Giappone e Sud Corea.
L’ostilità non dipende, a quanto risulta, dalla grandezza della presenza ebraica o islamica, ma dal ceto sociale, dalla cultura, dall’abitudine alla democrazia, dall’età di chi la esprime. E’ cioè un problema della società, non degli ebrei o degli islamici. Questo significa che queste percezioni negative sono legate alle paure e alle tensioni provocate dalla globalizzazione, dal cambiamento, dalla frustrazione sociale solo in maniera indiretta, mitologica direi. A maggior presenza non corrisponde maggior paura.
Credo sia utile considerare l’antisemitismo in contesti generali, confrontarne il rapporto con le diverse ostilità etniche e religiose, vederlo insomma in un contesto globale. Non solo per combattere tutte le percezioni negative della diversità, ma per capire meglio le dinamiche e i mutamenti dello stesso antisemitismo.

Anna Foa, storica