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Questa settimana leggiamo la parashà di Lekh lekhà, quella della chiamata di Abramo: “vattene (lekh lekhà) dalla tua terra, dal luogo dove sei nato e dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti mostrerò” (Bereshit 12:1); anche se è la tua terra, è il luogo dove sei nato (in ebraico: moledet, che oggi significa “patria”), è la casa di tuo padre, te ne devi andare lo stesso. Ieri il neoeletto presidente americano (la cui carriera fin dall’inizio è stata sostenuta da ebrei) ha sottolineato davanti a un pubblico commosso che la sua elezione significa che tutto è possibile e che anche un nero può diventare Presidente. Un nero c’è riuscito, dubito che ci possa riuscire un ebreo, per quanto in alto possa arrivare nella gerarchia di uno Stato. E’ la condizione originaria ebraica; “vattene dalla tua terra…”. Allo stesso Abramo (ib. 17:6) e poi al nipote Yaakov (ib. 35:11) fu promessa una discendenza di re; ma dove?

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Avrum Burg è l’enfant terrible ma anche la grande delusione, l’esperimento fallito della politica israeliana. In una delle pagine più critiche del suo nuovo libro, Avrum scrive sugli ebrei d’America: “È molto difficile farsi eleggere contro la volontà dell’elettorato ebraico”. Frase ovviamente subito raccolta dai solerti recensori sempre a caccia di spunti antiamericani e antiebraici. Ma è poi vero? È dagli anni ’30 che gli ebrei americani votano incessantemente a grande maggioranza per il partito democratico, e lo hanno fatto anche questa settimana a favore del Presidente Barack Obama. Eppure negli ultimi settant’anni gli Stati Uniti hanno eletto almeno cinque presidenti repubblicani: Eisehnower, Nixon, Reagan, Bush padre, e Bush figlio. Senza il voto determinante degli ebrei americani. Per certe persone, quando i fatti contraddicono la teoria, sono sempre i fatti che hanno torto, mai la teoria.

Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme