Insieme possiamo riuscire, la lezione dell’incontro di Parma

Il Moked autunnale, il tradizionale incontro dell’ebraismo italiano, che quest’anno si è svolto a Parma, volge al termine. Tre giorni di incontri, con storici, filosofi, scrittori e psicologi per riflettere sui 60 anni dello Stato di Israele, per capire chi siamo ed in che direzione stiamo andando, una riflessione cui il pubblico presente ha preso parte attiva.
Abbiamo chiesto un bilancio conclusivo su questi giorni a Rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento educazione e cultura UCEI.
Rav Della Rocca, tiriamo le somme di questi giorni sei soddisfatto?
“Per quanto riguarda il pubblico intervenuto, il bilancio è soddisfacente sotto il piano della partecipazione impegnata, la gente è stata presente a tutte le attività, la sala era sempre piena, ed anche il livello culturale delle conferenze è stato alto e stimolante. Sono molto contento anche per la partecipazione attiva dei membri della piccola Comunità di Parma, che ha condiviso con noi le giornate di studio e che ci ha aperto con entusiasmo il tempio per la tefillà di sabato mattina.
Sotto il profilo interno devo dire che il valore aggiunto di questo Moked è il lavoro corale dei Dipartimenti Ucei: il Moked non è più un evento del Dec ma dell’Ucei, che ha visto il coinvolgimento qualificato ed armonico del personale dei vari dipartimenti ed è stato un esempio di come si stia superando la settorialità”
A proposito di personale, mi sembra che il tuo staff abbia avuto delle modifiche
Sì, al prezioso lavoro di Ruth Steindler che continuerà a coordinare l’organizzazione del Moked, si sono aggiunte due persone, Alan Naccache che coordina l’Ufficio Giovani Nazionale e Ilana Bahbout nell’assistenza alla direzione per la parte culturale, entrambi hanno dato un grande impulso alle attività del Dec.
A parte la stanchezza accumulata, c’è qualche elemento negativo che vuoi evidenziare?
Un elemento su cui penso si debba riflettere è la scarsa presenza dei 40enni ai Moked, indubbiamente in questo momento c’è anche un problema di natura economica, spostarsi spesso con due tre bambini è costoso. Abbiamo studiato delle alternative, ma abbiamo delle esigenze per cui non ci si può discostare molto da un certo target di albergo: occorrono strutture con due tre sale per le riunioni, molte stanze, impianti di cucina che consentano di rispettare la casherut.
C’è poi da dire che venire al Moked è una scelta identitaria, culturale, educativa, è certamente diverso che organizzarsi una vacanza in un villaggio turistico.
Quale soluzione suggerisci?
Per quanto riguarda i costi penso che forse le Comunità potrebbero supportare una famiglia alla volta con un viaggio premio, questo potrebbe avere una ricaduta positiva su tutta la Comunità perché al ritorno dal Moked queste persone potrebbero portare nuova linfa vitale nelle loro Comunità. Poi penso che si dovrebbero studiare delle formule per non circoscrivere gli argomenti trattati nel Moked a 1-2 giorni, ma “spalmarli” su tutto il territorio nazionale organizzando incontri di approfondimento nelle varie Comunità durante il corso dell’anno.
A proposito dell’argomento affrontato durante questo Moked: i 60 anni dello Stato di Israele, ti sembra che ci siano ancora delle cose che debbano venir fuori?
C’erano molte perplessità nella scelta di questo tema, alla luce dei fatti penso che sia stata una scelta vincente, perché non è stato dato un taglio celebrativo, retorico. Ovviamente tre giorni non possono essere esaustivi sull’argomento, ma penso che il tema sia stato trattato con una certa completezza e serietà: Israele è la nostra identità e come tale richiama interrogativi continui a cui non ci sono risposte compiute e questo ha dato nuovi spunti, anche inquietanti, ma questo è il bello, bisogna evitare le etichette preconfezionate.

Lucilla Efrati