Memoria 1 – Annette Wieviorka: La Storia serve per agire nella società

Presidiare la Memoria. Tutelarne le sue fonti autentiche, con rigore, con passione, con libertà di spirito, con una profonda fedeltà alle proprie radici. Pochi, nella sua Francia e in Europa, hanno dato tanto e in modo più autorevole e trasparente su questo fronte, uno dei più delicati della realtà ebraica contemporanea, di Annette Wieviorka. Sessant’anni passati in un soffio, quello che ha fatto attraversare all’ebraismo europeo la seconda metà del 900 e lo ha proiettato nel nuovo millennio con poche certezze e molti valori da difendere. Quelli che hanno segnato le speranze dei suoi genitori, entrambi sopravvissuti alla Shoah, progressisti, bundisti, strenuamente impegnati nel sogno di costruire una società più giusta che non rinneghi l’eredità dei padri, ma la integri nel dibattito politico contemporaneo.
Decenni di lavoro dedicati alla raccolta di testimonianze, allo studio minuzioso, spesso straziante dei meccanismi di distruzione e di terrore che hanno inghiottito la maggior parte dell’ebraismo d’Europa, alla denuncia di come tutto ciò ha potuto accadere.
E una scelta coraggiosa, quella di non nascondersi mai dietro le ritualizzazioni di comodo, dietro al palco delle cerimonie ufficiali che rischiano di confinare la Memoria in una teca e di imbalsamare il contenuto ebraico di questo processo doloroso.
Per chi la conosce solo attraverso la sua attività accademica, Annette Wieviorka è la prestigiosa docente del Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs),la più autorevole istituzione accademica d’Oltralpe. E’ uno dei maggiori esperti viventi di Storia della Shoah e di storia ebraica del XX secolo. E’ l’autrice saggi indimenticabili come “L’Ère du témoin” (“L’era del testimone”, Raffaello Cortina editore), “Déportation et génocide. Entre la mémoire et l’oubli” (Deportazione e genocidio, fra la memoria e l’oblio), “Auschwitz, la mémoire d’un lieu” (Auschwitz, la memoria di un luogo). E’ la voce di un libro che parla al cuore di centinaia di migliaia di ragazzi in decine di lingue diverse, “Auschwitz expliqué à ma fille”, Éditions du Seuil (“Auschwitz spiegato a mia figlia”, Einaudi) che ai negazionisti è costato più di mille condanne in tribunale. Per chi la va a visitare nel suo salotto di rue du Faubourg Poissonnière, nel nono arrondissement di Parigi, là dove al termine del secondo conflitto mondiale hanno trovato rifugio decine di migliaia di sopravvissuti e dove scorre ancora il magma di una realtà ebraica viva, Annette è una donna che non depone le armi nemmeno quando serve una tazza di caffè. Che ha i modi diretti dei combattenti dei ghetti da cui discende. Una donna che qualcuno ha chiamato la Signora Memoria, e che alla Memoria ha consacrato tutto. Ma alle convenzioni di comodo non è disposta a cedere nemmeno un millimetro.

La cultura della Memoria che con un immenso lavoro di documentazione e di ricerca è stata stabilita negli scorsi decenni, Annette Wieviorka, resta perennemente minacciata dai revisionismi e dall’oblio. Cosa possono fare gli ebrei contemporanei per tutelarla?

E’ intanto necessario comprendere che la Memoria così come siamo ormai abituati a concepirla, non è un dato di fatto assoluto, ma piuttosto il risultato di una specifica situazione storica. La memoria diffusa, insegnata, praticata e per certi versi istituzionalizzata è nata dal lavoro degli studiosi, ma anche da una specifica contingenza storica. Una situazione che si è manifestata nel 1989 e si è esaurita nel 2001. Il riemergere delle tensioni, le crisi economiche, i contrasti e le incertezze sociali
segnano la fine di un concetto generico, buonista e tranquillizzante di memoria e pongono l’interrogativo di come riformulare una concezione autentica della Memoria.

Dalla fine della Guerra fredda, dalla caduta del Muro di Berlino, all’attentato delle Torri Gemelle. Sarebbe a dire che oggi siamo già nel pieno di una svolta, di un capitolo successivo che ancora dobbiamo imparare a conoscere e di cui non sappiamo tutte le conseguenze?

Esattamente. La Memoria in quanto istituzione, l’affermazione chiara che la ferita della Shoah esige una riparazione è un concetto che è emerso in una parentesi in cui le tensioni delle contrapposizioni fra blocchi sono cadute, in un mondo dove ha governato un’unica superpotenza. In una situazione economica di crescita costante, di relativa stabilità, di ottimismo. Oggi non è più così.

E la Memoria, è minacciata?

Abbiamo di fronte la dimostrazione di quanto sia illusorio pensare che la Memoria di massa sia conquistata una volta per tutte, sia un concetto che si riafferma perpetuamente in automatico senza la necessità del nostro lavoro e della nostra attenzione.

Ma le leggi che hanno istituito in varie realtà europee la necessità e la tutela di questo concetto non sono sufficienti a stabilizzare la situazione?

Ero presente a Strasburgo, e sono stata ascoltata, quando il Parlamento europeo ha elaborato la proposta rivolta ai Governi nazionali di fare del 27 gennaio, la giornata dell’abbattimento, nel 1945, dei cancelli di Auschwitz, una giornata da dedicare al ricordo. Ricordo di aver messo in guardia contro i rischi di un’iniziativa del genere. Noi francesi abbiamo già un gran numero di occasioni pubbliche per ricordare il valore della Resistenza, l’orrore delle deportazioni e della Shoah. Il problema non era tanto quello di inquadrare nuovamente tutta questa materia in una iniziativa di legge, ma di rendere la Memoria effettivamente viva e vissuta. In molte altre realtà, fra cui l’Italia, erano ben diverse. L’esiguità numerica della presenza ebraica e altri fattori sociali hanno finito per polarizzare sul Giorno della Memoria un’attenzione quasi esclusiva e molto influenzata dal rapporto con le istituzioni.

Cosa intende?

Penso che il tavolo del confronto sul problema della Memoria è divenuto in molte realtà europee, e anche in Francia, il terreno privilegiato, talvolta quasi esclusivo, di confronto fra la minoranza ebraica e le istituzioni.

E questo, a suo avviso, comporta un rischio? Rischiamo di entrare in un vicolo cieco?

Ognuno è libero di interpretare le cose come preferisce. Dico solo che si tratta di un fenomeno che non possiamo ignorare, perché in un modo o nell’altro tende a condizionare la nostra esistenza di minoranza e la nostra capacità di esprimere noi stessi e il messaggio di cui vogliamo farci portatori.

Possiamo citare alcuni esempi concreti?

Certo. Possiamo osservare che sulla Memoria si dimostrano non a caso particolarmente sensibili governi e istituzioni ansiose di far dimenticare qualche imbarazzo del passato (per esempio una politica di estrema tolleranza nei confronti di Arafat e del terrorismo palestinese, o radici che affondano nel terreno avvelenato dell’estrema destra antisemita). E possiamo osservare che in occasioni di importanti contatti istituzionali le istanze che provengono dal mondo ebraico e le disponibilità che provengono dal mondo politico tendono a incrociarsi sul terreno della Memoria.

Un esempio concreto?

L’incontro annuale del Conseil représentatif des institutions juives de France (Crif), la massima istituzione della minoranza ebraica in Francia, cui tradizionalmente partecipa il Primo ministro. Analizzando i contenuti del saluto rivolto alla minoranza ebraica da parte di chi tiene il timone della Francia anno dopo anno possiamo constatare che il tema della Memoria è sempre ben presente. Una volta c’è all’ordine del giorno la costituzione della Commissione Mettéoli e della Missione di studio sulla spoliazione degli ebrei di Francia, una volta la risistemazione del padiglione francese ad Auschwitz, per esempio, ma questo continuo desiderio di rilancio porta poi a giocare con concetti molto importanti e molto delicati in maniera incontrollata. E si arriva all’episodio dello scorso anno, in cui il Primo ministro Nicolas Sarkozy ha annunciato l’idea che ogni scolaro francese avrebbe potuto adottare simbolicamente uno dei suoi coetanei che furono sterminati nella Shoah. Un’idea densa di risvolti delicatissimi, di rischi che non erano stati sufficientemente valutati. Che è stata inseguito da più voci messa da parte e che infine lo stesso Governo ha finito per tralasciare.

Con queste considerazioni lei sembra associare la sua voce a quella di numerosi intellettuali ebrei contemporanei, che ben distinguendo ovviamente la propria posizione da quella dei negazionisti, stanno vagliando in maniera molto critica gli effetti di una Memoria istituita ex lege.

La situazione in cui ci troviamo è densa di rischi. La Memoria deve essere difesa strenuamente, ma contemporaneamente, proprio perché vogliamo difenderla e vogliamo che resti cosa viva, dobbiamo accettare un processo di riflessione critica aperto e trasparente.

Cosa deve passare al vaglio di questo processo?

Il tema è molto complesso, ma per indicare alcune piste vorrei dire che la Memoria non può essere vittimismo, deve restare affermazione positiva di identità e di autenticità storica. Deve essere agganciata ai problemi della società contemporanea. Deve essere materia viva di studio e di conoscenza. Non c’è spazio per l’ombra del vittimismo, se vogliamo davvero difendere il concetto autentico di Memoria. La minoranza ebraica è depositaria di esperienze immense che possono portare elementi preziosi nell’ambito della società che ci circonda. Non possiamo accontentarci di fare bela figura quando ci chiamano a presenziare a determinate cerimonie. Siamo noi, di conseguenza, che dobbiamo trovare la forza d proporre una visione sana e corretta della Memoria.

Lei siede in alcune delle più prestigiose istituzioni francesi e internazionali che dedicano i loro sforzi ad affrontare questi temi. Come vede evolversi questa coscienza al loro interno?

Sono appena rientrata da una riunione della giuria del concorso annuale per la tutela dei valori espressi dalla Resistenza e contro la deportazione in Francia. Si tratta di una grande iniziativa che coinvolge molte scuole francesi e tutte le organizzazioni di ex deportati. La giuria è composta da 40 persone e fra di loro ho contato tre anziani, che rappresentavano il mondo di chi era in grado di portare una testimonianza e una conoscenza diretta sul tema. Tutti gli altri componenti erano rappresentanti di enti pubblici e di fondazioni private, direttori di musei, docenti di vario genere. Tutte persone degnissime, ma che traggono la loro esclusiva legittimazione dal fatto di aver ottenuto un impiego in questo settore. Sono funzionari della Memoria, appositamente retribuiti. E la Memoria rischia di ridursi a un’ideologia, se non addirittura a un’industria.

C’è qualcosa di male a far crescere una generazione di funzionari e di impiegati specializzati su questo tema?

Qui non si tratta di dare giudizi moralistici, ma solo di mostrare una situazione particolarmente delicata che dovrebbe essere valutata con attenzione dalle realtà ebraiche. Una situazione che rischia di sfuggire di mano e che potrebbe portarci là dove non sappiamo o forse non vogliamo andare. Esiste una categoria di persone che a vario titolo lavora attorno al concetto di Memoria Ed è retribuita per questo. Forse non c’è niente di male o forse sì. Ma in ogni caso, è di questo che vogliamo accontentarci?

Alla pagina del prossimo 27 gennaio, cosa c’è segnato nella sua agenda?

Per adesso è ancora bianca. Ricevo diversi inviti, ma ora sto cercando la mia strada e faccio fatica ad accettare di andare a fare una parte che non sento mia. Cerco di partecipare a occasioni che tendono a mettere in chiaro come ci siano ebrei che non si accontentano, che cercano nuove strade. E le cercano non certo per mettere la Memoria in seconda piano, ma proprio per offrire alla Memoria la migliore difesa possibile.

Nell’ambito del mondo accademico francese ha avviato un seminario alla Sorbona in collaborazione con studiosi di diverse discipline, come il giurista, Antoine Garapon, che è autore di un saggio recente e appassionante, “Peut on reparer l’Histoire”, Odile Jacob (“E’ possibile riparare la Storia?”). E’ un percorso di ricerca di si interseca o si distanzia dal suo impegno di storica della Shoah?

E’ un lavoro difficile e molto stimolante che tenta di portare una visione ebraica in un grande tema dei nostri tempi. La storia che vogliamo studiare, conoscere e insegnare non è una materia inerte, ma uno strumento per agire nella realtà. La possibilità di emendare la Storia, di ripararla, di curarne in un certo modo le ferite, e come, e quando, e quanto, credo sia uno dei grandi problemi dello storico e anche del giurista ebreo contemporaneo. Su questo tema, ne sono convinta, abbiamo molto da dire. E la voce di questa minoranza, che qualcuno aveva sperato di spegnere per sempre, continuerà a risonare alta e chiara nel mondo in cui viviamo.

Guido Vitale

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