Papa Benedetto XVI e le dichiarazioni antisemite

Il recente intervento del Papa, sulla questione del vescovo negazionista Richard Williamson, ha suscitato il seguente commento da parte del Presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana Rav Giuseppe Laras: “Le dichiarazioni fatte, alcuni giorni orsono, dal Papa a proposito di Shoah e negazionismo, sono giunte benvenute e accolte con sollievo. Dopo l’intervento, però, del Cancelliere tedesco Angela Merkel – emergono oggi due circostanze finora ignorate:
1) Che il Papa, allorché revocava la scomunica a Mons. Williamson, non era al corrente delle idee, professate, in tema di Shoah, dallo stesso.
2) Che il Vescovo, pertanto, per essere riammesso a pieno titolo nelle funzioni episcopali, deve ritrattare, inequivocabilmente e pubblicamente, le idee da lui nutrite e professate.
A parte il fatto che non si capisce con quale fondamento logico ed etico si possa chiedere (e ritenersi soddisfatti) a una persona di negare ciò che da sempre ha coltivato e nutrito dentro di sé, la situazione, così come si sta oggi rivelando, suscita qualche perplessità e qualche interrogativo.
Mi chiedo, in particolare, come un argomento tanto delicato, con implicazioni di ampio e grave respiro, possa essere affrontato non in maniera inequivoca e chiara fin dall’inizio. C’è da augurarsi che una volta rimosso questo ulteriore inciampo lungo il sentiero del dialogo, le relazioni ebraico-cattoliche possano presto nuovamente decollare all’insegna di una ritrovata e reciproca fiducia”.

Intervenendo sul medesimo argomento il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha affermato: “Dopo due settimane di difese d’ufficio e progressive ammissioni imbarazzate, finalmente ieri un comunicato della Segreteria di Stato ha preso una chiara posizione sulla terribile vicenda del vescovo negazionista. Nello stesso comunicato, al punto 2, si afferma la necessità, per una completa riammissione nella Chiesa della fraternità lefebvriana, dell’accettazione completa delle decisioni del Concilio e del magistero degli ultimi Papi. E’ essenziale fermare l’attenzione e la vigilanza su questo punto, perché il clamore suscitato dal negazionismo oscura il nodo essenziale del problema, che è quello dell’esistenza di un vasto ambiente cattolico tradizionalista, spesso tollerato se non coccolato, nel quale l’antigiudaismo alligna e prospera. Su questo punto si gioca sugli equivoci, tutti si dichiarano “non antisemiti”, come lo era già il papato di Pio XI, in quanto contestava il razzismo; ma l’ostilità teologica antiebraica -quella che viene definita “antigiudaismo” – non ha bisogno del razzismo per esistere e diffondersi. La svolta decisiva contro questa tradizione è stata impressa dalla dichiarazione “nostra aetate” del Concilio, quella che in qualche modo scagionava gli ebrei di oggi dalla colpa del deicidio e “deplorava” (sic) l’ostilità antiebraica. A questa dichiarazione sono seguiti i tanti documenti e gesti positivi che conosciamo, sempre rifiutati dai tradizionalisti. Al punto attuale della discussione, i punti aperti sono: 1. come è stato fatto per il negazionismo deve essere chiaro che – se si vuole mantenere un dialogo rispettoso- non c’è posto non solo per l’antisemitismo ma anche per l’antigiudaismo e che i documenti specifici su questo tema debbano essere accettati esplicitamente, senza generalizzazioni; 2. ci deve essere una coerenza tra documenti e comportamento, evitando incidenti ed equivoci continui che creano sfiducia; 3 infine, last but not least, anche se tutti i documenti sono un enorme passo avanti, le difficoltà sostanziali rimangono; vorrei ricordare come proprio all’indomani del nuovo “sabato nero” dell’annuncio della revoca della scomunica, nell’angelus domenicale, il Papa, parlando della conversione di Paolo, ha detto che in realtà di vera conversione non si trattava perché Paolo era un ebreo credente e “non dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a C. “Togliamo il negazionismo, il deicidio, se ci riusciamo anche l’antigiudaismo, ma il problema di fondo è sempre lo stesso”.