“Se quelle fossero tue figlie…”

Il Talmud babilonese (Ketubot 23a) ci racconta come il padre di Shemuel, il grande Amorà capo della Yeshivà di Neardea, facesse grandi sforzi per cercare di evitare che donne ebree cadute in prigionia, non si potessero sposare a Cohanim o, se già sposate loro, per evitare che risultassero proibite ai loro mariti. La città di Neardea si trovava appunto vicino al confine fra il regno persiano e l’impero romano, onde nel terzo secolo E.V. la città fu spesso saccheggiata. Il figlio Shemuel aveva un atteggiamento più rigoroso e temeva che tali prigioniere si fossero rese impure durante la schiavitù.
E allora il padre disse al figlio famoso: “*Se quelle fossero tue figlie, avresti avuto un simile atteggiamento verso di loro?”
“Se quelle fossero tue figlie…”: questa è la frase che vorremmo fosse davanti agli occhi dei giudici dei tribunali di ogni tipo, sì anche davanti agli occhi dei Dayanim nei Tribunali rabbinici, quando giudicano di problemi di divorzio o di gherut, vorremmo che agissero secondo l’insegnamento del padre di Shemuel e che giudicassero come si trattasse delle loro figlie. Ma purtroppo non sempre vi è un padre che sa come rimproverare un figlio importante e non sempre sappiamo ascoltare un insegnamento di dolcezza.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme