morale…

Nel dibattito pubblico si torna spesso a parlare di “questione morale”, nel senso se sia giusto che persone colpevoli o sospettate di atti immorali possano assumere responsabilità pubbliche. Fermo restando che si tratta di un principio essenziale da salvaguardare, i problemi sono quelli della definizione di atto immorale (in base a quale codice e livello di gravità) e l’uso che se ne fa in politica (come autocritica o strumento di opposizione, con quali coerenze e tolleranze ecc.). La questione investe da sempre anche la società ebraica, nelle sue forme organizzative e di rappresentanza. La legge ebraica, halakhà, disciplina questo argomento, stabilendo, ad esempio, chi sia interdetto a determinati onori e funzioni sinagogali (portare sefer, chiamate a sefer ecc.). Ma nella prospettiva della halakhà non c’è una netta distinzione tra regole da osservare e “morale”, tra norme cosidddette cerimoniali e comportamenti interpersonali, c’è un’unica categoria di lecito e di illecito. Per questo la questione si complica quando si parla di funzioni pubbliche e incompatibilità. Cosa è consentito a un consigliere di comunità o a un presidente? Il nodo delle diverse identità ebraiche è difficile a sciogliere.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma