ragazzi…

Nelle settimane tra il 17 di Tamuz e il 9 di Av i sefarditi e gli ashkenaziti usano leggere delle haftarot speciali, la prima delle quali è l’inizio del libro di Geremia. Geremia viene incaricato di diventare profeta ma egli afferma di non essere adatto alla profezia perché non sa parlare, visto che è un ragazzo. Dio risponde all’obiezione di Geremia dandogli il dono della parola ma respingendo l’obiezione “sono un ragazzo”, come se Dio volesse comunicare a Geremia che essere un ragazzo non è un difetto ma addirittura un pregio. Tutto il popolo ebraico viene chiamato nà’ar – ragazzo, giovane. Essere o sentirsi ragazzi significa sentirsi inadeguati, non ancora pronti ma contemporaneamente sentirsi in crescita. La coscienza della propria inadeguatezza unita alla volontà di crescere è la condizione fondamentale che dovrebbe caratterizzare ognuno di noi in maniera particolare il popolo ebraico. Tutti noi dovremmo sentirci in qualche modo ragazzi, incompleti, inadeguati ma capaci di perfezionamento.

Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano