La controversa epopea di Quentin Tarantino trova successo nelle sale americane

Inglorious Basterds, il nuovo film di Quentin Tarantino, presentato nell’ultima edizione del Festival di Cannes, ha sbancato i botteghini nordamericani a una settimana dalla sua uscita.

Il film, che prende il titolo da un B Movie degli anni ’70 di Enzo G. Castellari, racconta la storia di un gruppo di soldati ebrei-americani capitanati dal mezzo Apache Aldo Raine (Brad Pitt) paracadutati nella Francia Occupata dai nazisti per seminare puro terrore nelle truppe del Terzo Reich. La loro specialità è uccidere nazisti nella maniera più crudele possibile e collezionare scalpi. In poco tempo, e dopo molti soldati trucidati, il resoconto delle loro gesta arriva fino al Führer.

La vicenda degli Inglorious Basterds s’intreccia con quella di Shosanna Dreyfus (Mélanie Laurant), una ragazza ebrea francese che vive a Parigi in incognito gestendo un cinema.

Lei è l’unica sopravvissuta della sua famiglia, la cui tragica fine e raccontata all’inizio del film quando entra in scena l’odioso Landa (Christoph Waltz), lo charmant cacciatore di ebrei.

Le due vicende si sviluppano separatamente in distinti capitoli e solo alla fine diventano una sola.

Dato il delicato soggetto, il film ha ricevuto moltissime attenzioni: c’è chi lo ha definito un porno kosher, chi si è lamentato delle sequenze splatter e chi si è preoccupato di questioni morali.

L’intenzione di Tarantino non era quella di fare un film storico né tanto meno un film sulla persecuzione e resistenza degli ebrei durante la guerra. Il recente film di Edward Zwick Defiance che narra la storia vera dei Fratelli Bielsky, ebrei e partigiani, invece lo è.

Qui il regista usa le vicende storiche per realizzare quegli elementi che contraddistinguono il suo cinema: l’omaggio al cinema di genere, le scene di violenze, i dialoghi serrati e surreali e i complessi movimenti di macchina.

Inglorious Basterds è pieno di riferimenti ai film di guerra americani: dal Sergente York di Howard Hawks a Quella Sporca Dozzina di Robert Aldrich, passando per I Cannoni di Navarone di J. Lee Thompson. Citati sono anche diversi film europei: L’Ultimo Metro di François Truffaut per esempio e le opere di Leni Riefenstahl e Georg Wilhelm Pabst.

Compiendo un’operazione tipicamente post-moderna, Tarantino prende da questi film vari elementi stilistici e narrativi e li rielabora con una sensibilità contemporanea. Le inquadrature alla Riefenstahl, le musiche di Ennio Morricone, un nazista che fa il Sergente York, sono tutti elementi che contribuiscono alla creazione di una storia che non è la Storia ma sintesi di certe rappresentazioni filmiche di quel periodo.

Nella grandiosa scena finale del film, una sorta di Götterdämmerung viscontiano,
tutti i grandi nomi del Terzo Reich (Hitler, Goebbles, Bormann, Göring) muoiono nell’incendio del cinema di Shosanna.

Riuniti lì per la prima di un film di Goebbles, i nazisti cadono nella trappola della giovane ebrea. Il film è interrotto da un primo piano di lei che, dichiarando la sua origine ebraica, invoca vendetta: fiamme gigantesche prodotte dalla combustione di pellicole si propagano dallo schermo alla platea. Il pubblico di ufficiali nazisti, intrappolato nell’auditorium, muore tra le fiamme mentre due Basterds con le mitragliatrici fanno fuori Hitler e Goebbles.

La scena ricorda la sequenza finale di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta nella quale la vendetta si sprigionava dall’Arca della Santa Alleanza, con gli angeli della morte che fanno strage di tutti i nazisti mentre qui è il potere del cinema, è l’immagine che distrugge.

Tarantino gioca una partita pericolosa e il film non convince del tutto. Il problema sta nel fatto che lo spettatore non riesce a trascendere dagli eventi storici di quel periodo e così in buona parte del film rimaniamo distanti, estranei alle vicende sullo schermo. La distruzione dei nazisti nel fuoco di pellicole rimane soltanto un’immagine e il film si rivela in tutta la sua fragilità.

Rocco Giansante