Qui Roma – Alberto Nirenstein, laico per scelta ebreo nell’anima

“Mio padre era un uomo coraggiosissimo, non temeva nulla né intellettualmente né fisicamente, questa è la sensazione che ho sempre provato nei suoi confronti”. Con queste parole la giornalista e deputata Pdl, Fiamma Nirenstein, con gli occhi e l’affetto di una figlia ricorda suo padre, Alberto Nirenstein, a cui sarà dedicata la serata che si svolgerà questa sera alle 21 all’Istituto Pitigliani di Roma, organizzata dal Centro di Cultura e dal Master internazionale di didattica sulla Shoah, di Roma Roma Tre, cui prenderanno parte lo psicologo e direttore del Master David Meghnagi, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, Ernesto Galli Della Loggia professore ordinario di Storia contemporanea e direttore del corso di dottorato di ricerca in Filosofia della storia alla Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed il giornalista Luciano Tas.
“Ricordo discussioni furiose su tanti argomenti, era molto ebreo e molto ateo, agnostico in sostanza. Era un comunista e un sionista. Era molto bello parlare con lui – continua la Nirenstein appassionandosi nel raccontare alcuni frammenti del passato – ricordo che mi prendeva in giro per il mio modo di parlare l’ebraico. Mio padre parlava un bellissimo ebraico, un ebraico letterario, colto molto simile a quello di Bialik. Era un uomo modestissimo adorava parlare con gli umili, soprattutto con loro. Gli piaceva parlare con la gente diretta e semplice, raccontare e ascoltare piccole cose, era il preferito delle signore giornalaie, dei vicini agricoltori della casa del mare, del barista. Gli piaceva camminare in piena natura ancora più che in mezzo alle opere dell’uomo, che pure amava e ci mostrava con passione”.
La vita di Albert Nirenstein spicca per la sua singolarità. Nasce nel 1915 in uno shtetl polacco a Baranow un paese che si trovava fra Lublino e Varsavia in una data che non è possibile reperire perché la metodicità nazista ne ha cancellato l’anagrafe, come pure lo stesso paese è sparito dalle carte geografiche dopo che l’invasione nazista lo rade al suolo. Gli anni Venti e Trenta forgiano il suo impegno politico, il sionismo e il comunismo ed il sogno, come tanti giovani ebrei dell’epoca, di uno Stato socialista e binazionale, arabo-ebraico in Palestina. Nel ’36 parte e per vie avventurose traversando strade impervie a piedi, su vecchie ferrovie, giunge a Haifa.
Nella Palestina del Mandato britannico, lastrica strade per mantenersi agli studi, che conclude con successo, all’Università Ebraica di Gerusalemme.
E’ la sua fortuna: durante la Shoah tutti i suoi cari vengono uccisi. «Non ho un album di famiglia da consultare e non possiedo materiale visivo per i miei ricordi» osserverà infatti in un appunto.

Combattente delle Brigate Ebraiche nella Seconda Guerra Mondiale, in Nord Africa e in Italia, dove si sposa con Wanda Lattes, partigiana di Giustizia e Libertà, dedica parte della sua vita alla ricostruzione delle vicende della Shoah, in un tempo in cui nessuno ne parla ancora. Tornando a Varsavia nel 1950 alla ricerca di documenti e testimonianze, trova i diari che un gruppo di intellettuali avevano nascosto in dieci casse, dopo aver descritto accuratamente le cronache dell’istituzione del ghetto e del massacro che ne seguì. Ma al termine del lavoro gli viene impedito di uscire dal Paese. “Quando telefonava dalla Polonia nella casa dei miei nonni a Firenze, dove vivevamo la mamma, la Susanna ed io, ci assemblavamo intorno al telefono nero appoggiato su un tavolino antico, trattenendo col fiato corto e l’ansia di scambiare almeno una parola la sensazione tragica di una lontananza infinita. – ricorda Fiamma – Sapevamo che a lui mancavano il cibo, gli abiti, le scarpe, la libertà; gli mancava di nuovo, dopo la perdita della sua famiglia di Baranow nella Shoah e dopo gli anni duri della fondazione di Israele, un nido dove posare il capo. Però, eravamo forti: questo era il messaggio. Dovevamo essere forti, perdurare nonostante le privazioni”.
“Fu rilasciato solo alla morte di Stalin, nel 1953. Prima, neppure mia madre, riuscì a ottenere che la burocrazia sovietica gli permettesse il rimpatrio, pur essendosi rivolta direttamente a Palmiro Togliatti”.
Nel 1958 esce il suo libro più noto Ricorda cosa ti ha fatto Amalek (edito da Einaudi) sulla Shoah, seguito da molti altri sullo stesso argomento.
Un uomo coraggioso dunque, come lo definisce Fiamma, con ideali forti ed un forte senso del suo essere ebreo. In un articolo uscito il giorno dopo la sua morte, nel settembre 2007, Ernesto Galli Della Loggia scrive scrive dell’amico appena perduto: “Alberto rimase sempre fedele all’ispirazione dell’ebraismo che ama definirsi laico, ma come può essere laico chi porta inciso per sempre nella carne e nell’anima l’ammonizione imperitura dello Shema’ Israel”. Un’eredità raccolta dalle sue figlie Fiamma, Susanna e Simona musicista e musicoterapeuta in Israele.
“Un eredità fortissima, – concorda Susanna Nirenstein che seguendo le orme materne è anch’ella giornalista – nonostante sia io che le mie sorelle siamo state educate in un modo poco tradizionalista, di fatto poi in mio padre il tratto ebraico era talmente forte che anche la nostra identità ebraica è stata forte tanto che il nostro amore per Israele è stato il punto fondante della nostra vita. Il suo legame con Israele è diventato il mio. I suoi interrogativi sulla Shoah, sono diventati i nostri, o almeno i miei, non smetto mai di leggerne, di scriverne anche se questa non è stata una mia esperienza diretta e se coltivo anche altri interessi”.
“Evidentemente, conclude Susanna, per tutte noi questa identità ebraica giocata con la mano sinistra è poi diventata il fulcro della nostra esistenza”.

Lucilla Efrati