Torah oggi – Pregare in rete, pregare insieme

La frequenza sempre minore dei fedeli alle funzioni ha indotto la Chiesa cattolica a lanciare, in un recente convegno, l’idea della preghiera online (con la benedizione papale). Se ogni iniziativa tesa a educare alla preghiera è certamente benvenuta e se l’ebraismo ha sempre visto nella tecnica uno strumento importante per lo sviluppo religioso, sociale e culturale dell’uomo, è lecito interrogarsi su quali siano i limiti e quali i pericoli nell’intraprendere una via del genere e soprattutto perché nell’ebraismo sia così importante la preghiera pubblica. Gli ebrei hanno sempre fatto un grande uso dei mezzi di comunicazione, ma hanno anche elaborato regole che impediscono la trasformazione dell’uomo in una specie di macchina, affinché non si corra il rischio di trasformarlo in una sorta di monade senza contatti veri con gli altri. Alcune parti della preghiera possono essere dette solo se è presente un gruppo minimo di dieci adulti (il minian); di sabato e di giorni festivi non si può fare uso del computer o di registratori, ma solo di libri o di testi scritti a mano su pergamena (i testi biblici letti in pubblico). Del resto la preghiera, pur essendo importante, è sempre venuta in ordine di importanza dopo lo studio e, anche se si può studiare da soli, l’ebraismo ha sempre privilegiato lo studio in chavruta (compagnia). Non v’è dubbio che per lo studio sia molto utile fare uso dei siti che su internet danno lezioni di Torà o di Talmud. La preghiera stessa inizia con un percorso di studio che va dalla Bibbia al Talmud. Ci si può aggregare a un gruppo di preghiera (un minian) se ci si trova in un’altra stanza, anche se non lo si vede, purché si senta la voce dei membri del gruppo. Niente può sostituire il contatto diretto con gli altri. La preghiera non è un fatto che interessa il singolo, ma tutta una collettività. Una collettività che non può essere virtuale, ma deve essere costituita di singoli in carne e ossa.

Rav Scialom Bahbout