Sigmund e Anton, la fuga del padre della psicanalisi

“Improvvisamente è arrivata l’invasione tedesca. Nella certezza che ora sarei stato perseguitato non solo per il mio modo di pensare ma anche per la mia ‘razza’, ho abbandonato insieme a molti amici la città che fin dall’infanzia, per settantotto anni, era stata la mia patria. Ho trovato la più amichevole accoglienza nella bella, libera, magnanima Inghilterra”. Londra, giugno 1938: è l’anziano Sigmund Freud a scrivere queste parole, quasi un sospiro di sollievo, curiosamente proprio nella prefazione di Mosè, il suo popolo e la religione monoteistica, un saggio sull’ebraismo, “razza” l’appartenenza alla quale fu ciò che lo costrinse alla fuga.
Ma cosa rese possibile, già avvenuto l’Anschluss, l’abbandono da parte di Freud dell’amata Vienna? Il libro The escape of Sigmund Freud, pubblicato in questi giorni a Londra, svela i clamorosi retroscena della vicenda: è stato un commissario nazista a salvare la vita alla famiglia Freud.
L’autore di quest’avvincente ricostruzione degli ultimi anni di vita del fondatore della psicanalisi è David Cohen, psicologo londinese, rinomato studioso di Freud.
Ad Anton Sauerwald, ufficiale di fiducia delle alte gerarchie naziste, era stato affidato il compito di liquidare la Società psicanalitica e sequestrare i beni di Freud. Si trattava di una missione importante: sia Goebbels che Himmler tenevano molto all’estirpazione di quella “nuova scienza giudaica”. Sauerwald, per altro medico, collega del suo sorvegliato speciale, si avvicinò all’opera del padre della psicanalisi e ne rimase profondamente colpito. Al punto che arrivò a tradire la causa nazionalsocialista, rischiando la pelle in prima persona, per salvare gli scritti freudiani nascondendoli nei sotterranei della Biblioteca nazionale austriaca, il loro autore, la sua famiglia, predisponendone la fuga in treno, e perfino i suoi conti all’estero. Il libro traccia la storia di un vero e proprio innamoramento intellettuale, di un medico nazista che, conquistato dalle teorie della psicanalisi, s’imbarca in un rischiosissimo doppio gioco. Durante la guerra, a prova della sua devozione, fece addirittura visita al maestro, vecchio e malato nella “magnanima Inghilterra”.
Fato volle che, sconfitta la Germania, Sauerwald fosse arrestato da un ufficiale americano che di cognome faceva Freud: Harry Freud, nipote del celebre. A salvarlo, nel successivo processo, fu soltanto la testimonianza di Anna Freud, la figlia, cugina dell’ufficiale Harry, fuggita proprio grazie all’intercessione dell’ammiratore di suo padre.

Manuel Disegni