La grammatica di Spinoza

Anche per un filosofo razionalista come Baruch Spinoza la lingua ebraica fu importantissima. Nella Amsterdam dei suoi tempi si parlava in genere il portoghese e, accanto a questo, il giudeo-spagnolo; lingua ufficiale era invece considerato lo spagnolo. Spinoza aveva imparato l’ebraico già da bambino e mantenne con il lashon haqodesh un legame peculiare in cui si riflettono le tensioni del suo pensiero: quelle fra tradizione e secolarizzazione, fra regola e uso, fra linguaggio e ragione.
Nel suo Trattato teologico-politico, in cui compaiono numerose citazioni in ebraico, Spinoza indicò nella Torà – per lui il più grande prodotto dell’immaginazione umana – il fondamento intorno a cui si era formato l’ethos del suo popolo. Critico verso ogni tradizione, anche dopo il bando di cherem restò legato all’unica tradizione che accettava: la lingua ebraica.
E scrisse in latino un Compendio di grammatica della lingua ebraica (finalmente tradotto nel volume: Baruch Spinoza, Tutte le opere, Bompiani, Milano 2010) che doveva essere non una grammatica della Scrittura, ma la “prima grammatica della lingua ebraica”. Rimasta incompiuta, forse per la morte intempestiva dell’autore nel 1677, questa grammatica ebraica valse a Spinoza un riconoscimento da parte di ShaDal, Shemuel David Luzzatto, insigne rabbino, linguista e filologo, che insegnò al Collegio Rabbinico di Padova fino al 1865. Quell’ateo virtuoso, quel razionalista unilaterale, si era però rimesso alle leggi della lingua ebraica. “Se Spinoza si è sempre comportato correttamente, perseguendo la giustizia, mentre i suoi pensieri possono talvolta allontanare dalla retta via […] – scrive ShaDal – ciò deriva dalla lingua santa che amava tanto”.

Donatella Di Cesare, filosofa