…vergogna

La parola vergogna ha girato molto in questi giorni fino a diventare una categoria politica. Si può provare individualmente vergogna per qualcosa e o per qualcuno, ma se questo sentimento diventa una categoria politica, meglio un discrimine politico, allora ciò allude a un fatto che mi inquieta. Conosco perfettamente il precedente di questo meccanismo, rientra nella pragmatica del pentimento, una misura che inizia con l’autointerrogarsi e termina con la delega a qualcuno che esprima il perdono o emetta la sua sentenza di condanna. Nel Novecento questo percorso è stato battuto molte volte e ha non solo contrassegnato, ma anche inaugurato i regimi politici totalitari. In politica la vergogna se pretesa come atto collettivo è una pessima richiesta ed è l’indicatore di una mentalità totalitaria e inquisitoriale. Molto meglio la responsabilità. Non solo perché obbliga a un esame di sé, e chiede che anche altri lo intraprendano valutando se stessi – più esplicitamente facendo le pulci a se stessi e chiedendo che anche dall’altra parte si intraprenda lo stesso percorso – ma perché è un indicatore significativo di una dimensione laica, una condizione che sarebbe una risposta “alta”, né pavida, né succube a fronte dei molti fanatismi, intransigentismi e radicalismi che imperversano. Forse è anche per questo che oggi la responsabilità, tanto collettiva come individuale, latita, inondata e sopravanzata dalla vergogna, o dall’indignazione, spacciate entrambi per una sua versione più aggiornata, anzi più radicale.

David Bidussa, storico sociale delle idee