Davar Acher – La flottiglia naufraga in un mare di menzogne

Passate un paio di settimane, la vicenda della “flottiglia” si può valutare freddamente per quel che è stata principalmente fin dall’inizio: un episodio della guerra di attrito, immateriale ma molto concreta, che il mondo islamico e l’estremismo di sinistra combattono nell’opinione pubblica mondiale contro la legittimità di Israele e il suo diritto a difendersi. Israele è sulla difensiva strategica da sempre e in tutti i campi, per la semplice ragione che deve difendere la sua esistenza e il suo territorio contro forze preponderanti e disposte a ogni violenza. Lo è maggiormente nel campo delle relazioni pubbliche, da quando gli arabi sono riusciti a identificarlo agli occhi del mondo con l'”occupazione” (non solo della Cisgiordania, ma dell’intera “Palestina storica”, incluse Haifa, Tel Aviv Gerusalemme e Beer Sheva). E lo è ancor di più da quando è finita malissimo la serie dei “ritiri”: abbandonare la zona di protezione del confine libanese ha moltiplicato la forza di Hezbollah, cedere all’AP parti della Cisgiordania ha portato il terrorismo nel cuore di Israele, lasciare Gaza ha portato a un mini-stato terrorista, la ferita più infiammata oggi.
La guerra mediatica in corso ha l’obiettivo di impedire a Israele di utilizzare la sua forza militare per difendersi. La flottiglia è un episodio di questa guerra, nelle dichiarazione degli stessi organizzatori serviva non tanto a portare soccorsi a Gaza, quanto a rompere il blocco, che il mezzo per rendere più difficile e costoso il riarmo di Hamas. Bloccando le navi Israele non è affatto “caduto in una trappola”, ma ha combattuto una battaglia di interdizione necessaria in condizioni di inferiorità strategica. In casi del genere si pagano dei prezzi tattici per difendere valori strategici. Israele era ben consapevole del rischio di sfruttamento mediatico dell’attuazione del blocco in questo caso, ma non poteva subire che Gaza diventasse il porto libero della guerriglia islamista nel Mediterraneo. Per questa ragione ha fatto scendere quasi disarmati e senza fuoco preventivo di sbarramento i propri commandos. Il senso di questo rischio era di rendere possibile una soluzione incruenta dell’incidente: il risultato finale sarebbe stato lo stesso, il blocco delle navi contro una condanna generalizzata di Israele. Gli islamisti turchi a bordo, reclutati da un partito, il BPP, erede dei “Lupi grigi” e responsabile di molti omicidi di armeni, cristiani ecc., hanno deciso invece di creare l’incidente per enfatizzare l’incidente: se fossero riuscito a uccidere o a rapire qualche soldato il risultato sarebbe stato un successo enorme nell’immaginario arabo, se il prezzo di sangue fosse stato dalla loro parte si sarebbe potuto sfruttare vittimisticamente com’è accaduto. A parte fantascientifici ipotesi di bloccare la nave senza toccarla (chi ne parla non ha mai considerato l’energia cinetica di un’imbarcazione del genere o anche sella sua elica), non si poteva fare di più o meglio. Né si poteva far passare la flottiglia senza creare un santuario terrorista sempre meglio armato, una Tortuga mediterranea.
La battaglia successiva è avvenuta sui media e fra le forze politiche. Israele si è difesa meglio del solito su questo piano, diffondendo molto presto un buon numero di video che mostravano come fosse realmente andato lo scontro sulla “Mavi Marmara”. Un osservatore equilibrato aveva a disposizione, dalla sera del giorno successivo all’incidente, i materiali per capire che i morti non erano stati causati dall'”assalto” israeliano, ma da un agguato del gruppo paramilitare turco sulla nave. Peccato che questi osservatori equilibrati siano mancati, che i media e i politici abbiano ripetuto all’infinito il mantra dell'”arrembaggio” e della “strage”, con una caratteristica graduazione di toni fra destra e sinistra, su cui ho scritto la settimana scorsa. Quel che è successo nei media, però, va ben al di là dei giudizi e delle opinioni, che naturalmente sono tutte discutibili e tutte legittime. E chiaro che l’opinione dei media e dei politici, a parte alcune eccezioni tutte o quasi di destra, è oggi massicciamente antisraeliana. E però vi è stato una deformazione dei media che riguarda i fatti, non le opinioni. Propongo di chiamare quel che è successo “effetto Reuters”, dall’agenzia di stampa che fornisce buona parte delle immagini sui nostri giornali.
Com’è noto la Reuters ha ripreso delle foto già pubblicate da un quotidiano popolare turco, in cui si vedevano i paramilitari infierire sul corpo dei soldati israeliani catturati e abbattuti, immettendole sul circuito internazionale, con solo una “piccola” operazione di editing per eliminare i coltelli impugnati dai teppisti e le abbondante macchie di sangue da esse provocate (per chi vuol vedere le immagini e saperne di più, consiglio questa pagina: http://www.malainformazione.it/schede/77/index.htm?c1276075212). La Reuters è recidiva, perché fece uno scherzetto del genere al contrario già durante la guerra del Libano nel 2006, ma si è proclamata innocente, responsabile solo di un “ritaglio tecnico”. O sono cattivi giornalisti, che non capiscono come quei coltelli sono l’elemento più importante delle foto, o il ritaglio non era affatto tecnico, serviva a nascondere la violenza dei “poveri pacifisti”. E’ significativo che nessuno nella stampa mondiale abbia insistito a chiedere spiegazioni. Quel che ci interessa qui è che tutti i giornali italiani (in particolare quelli di sinistra) hanno compiuto analoghi “ritagli”, eliminando dal quadro dei loro lettori fatti bene accertati e documentati come le modalità dell’agguato turco sulla Mavi Marmara. Per esempio i video, anche quelli tratti dalle telecamere dei “giornalisti” presenti sulla nave non si sono visti praticamente su nessun sito web dei giornali italiani e non sono stati affatto raccontati. Si è parlato solo genericamente di una “versione israeliana”, per definizione squalificata. L’informazione sui fatti che viene da Israele si trova insomma non solo a dover superare i pregiudizi dell’opinione pubblica, ma un filtro attivo da parte dei media e dei politici di sinistra.
Come si spiega questo “effetto Reuters”? Vi sono due ragioni. La prima è che la stampa italiana, impegnata com’è in un’infinita campagna elettorale, è in questo momento la peggiore del mondo (almeno dei paesi democratici), ha smarrito completamente l’idea di avere la funzione di informare i suoi lettori, ha smarrito completamente la distinzione fra propaganda e informazione. La seconda è che contro Israele si applica dappertutto e anche in questo caso un doppio standard, che lo fa giudicare in maniera diversa da qualunque altro Stato o movimento. Un Doppio standard, che insieme alla Demonizzazione e alla Delegittimazione rientra nei criteri proposti da Natan Sharanski (le 3 “D”) per il passaggio dalla legittima critica di un governo all’antisemitismo.

Ugo Volli