Shofàr…

Nel corso dei secoli sono stati molti i Maestri, della Halakhà e della Kabalà, che si sono occupati dei vari significati del suono dello Shofàr. E pensare che nella Torah il precetto di suonare lo Shofàr è indicato in un solo mezzo versetto, non sembra poi così rilevante. E’ una delle 613 mitzwòt, è la mitzwà di Rosh haShanà. Ma già il Talmud dedica pagine e pagine sulle modalità di questo suono per non parlare dei Maestri della Kabalà che sviluppano delle intenzionalità infinite che devono connettersi con Malakhìm, Angeli, Hekhalòt, Aperture, di cose estremamente articolate, che prendono spunto da mezzo versetto della Torah. Quindi una Tradizione orale particolarmente ricca. Dopo aver ascoltato i vari suoni dello Shofàr è consuetudine recitare nelle nostre sinagoghe un passo di un Midràsh che dice: “Beato il popolo che conosce la Teruà …”, cioè che sa suonare lo shofar, “… I popoli della terra forse non sanno suonare? Mancano di corni?…” Rabbi Nachman di Breslav commentando questo Midrash si domanda cosa vuol dire  la parola  “Iodee” , “conoscono”. Significa che sanno produrre, che conoscono i tre suoni dello Shofàr, poiché lo Shofàr deve produrre tre tipi di suoni: Teqià, Shevarìm, Teruà. Teqia è un suono unico semplice, uguale. Shevarìm è lo stesso suono sotto il profilo della durata, scisso in tre, tre suoni di durata uguale a quello della Teqià. Teruà invece è di nuovo la stessa durata divisa in nove, una ulteriore divisione in tre dello Shevarim. Questo è il risultato del suono dello shofar sotto il profilo dell’udito, cioè quello che noi sentiamo. Ma il Nachman di Breslav aggiunge che il suono della Teruà “..Mattir pe illemim umattir pè aqarot…”, “..scioglie la bocca dei muti e scioglie la bocca delle sterili…”, cioè scioglie l’utero, la matrice della sterilità. La Teruà è ciò che scioglie la bocca dei muti, un po’ uno psicanalista ideale, che riesce a sciogliere la bocca del muto, ma scioglie anche la sterilità. La bocca del basso e quella dell’alto, le due matrici che generano qualcosa. Sempre il Rabbi Nachman di Breslav insegna che lo Shofàr è stretto all’imbocco ed è largo all’uscita. Infatti alcuni prima di suonare recitano il verso “Min Hametzar…” ,” “..dalla ristrettezza ti ho invocato o Signore…. Rispondimi dall’espansione”. Tra la richiesta e la risposta c’è soltanto il percorso della lunghezza dello Shofàr e la capacità di ascolto. Tutto sta nel modo di chiedere: se sappiamo chiedere da un imbuto molto stretto riusciremo ad ascoltare ampiamente, la scommessa è saper chiedere dall’imbuto stretto.  Un famoso passaggio della Tefillà di Rosh haShanà si richiama allo Shofàr con queste parole: “Beshofàr Gadol Itakà… vekol demamà ishamà..”, “… e verrà suonato in un grande shofar…. e verrà ascoltata una fine voce di silenzio….”. Un grande paradosso, un ossimoro direi. Un grande Shofàr e una voce di silenzio. Per chi vive ai giorni nostri, sentirsi chiamare a una sottile voce di silenzio è molto significativo. Un ebreo che si sente invitato oggi a tacere un po’, è estremamente importante, soprattutto perché mi sembra che il tumulto e il clamore siano diventati tratti caratteristici anche nelle nostre Comunità. E noi invece siamo chiamati a Rosh haShanà a una voce fine di silenzio! Shanà Tovà

Roberto Della Rocca, rabbino