Voci a confronto

Tra i numerosi articoli pubblicati oggi in Italia ritengo che sia importante mettere in particolare risalto quello di Giulio Meotti sul Foglio; si ricollega ad un argomento già affrontato da chi vi scrive la settimana scorsa: la situazione degli ebrei olandesi. Meotti inizia ricordando l’abbattimento, tristemente premo nitore, dell’ippocastano di Anna Frank, per riportare subito dopo le parole del giornalista Toussaint il quale denuncia che l’antesemitismo in Olanda è “tornato ad essere socialmente accettabile”. I giovani non possono più andare per la strada con il magen david al collo, e le scritte ebraiche davanti alla sinagoga di Amsterdam ovest hanno dovuto essere eliminate; non si assiste ad un ritorno del nazismo, ma piuttosto al fallimento del decantato multiculturalismo, mentre il deputato Geert Wilders, con la sua ben nota franchezza, denuncia che non sono gli ebrei a dover emigrare, ma piuttosto quei marocchini che sono colpevoli di antisemitismo. Mentre tuttavia il rabbino capo d’Olanda Benjamin Jacobs invita gli ebrei olandesi a emigrare in Israele, leggiamo che l’ex presidente, socialista, del parlamento dichiara tranquillamente che il terrorismo contro Israele è analogo alla resistenza contro i nazisti, e che la vedova del ben noto ex presidente della banca centrale Duisenberg, omaggiata gran dama della alta società, si espr ime contro la lobby ebraica inneggiando alla “nostra intifada” e aspira a raccogliere “sei milioni di firme” per la sua campagna contro Israele. In questa atmosfera che sta rinascendo nella nostra vecchia Europa, dopo i già ricordati incendi alle sinagoghe di Amsterdam e di Arnhem, Meotti denuncia che il 20 per cento degli insegnanti di storia hanno smesso di parlare di Shoah, e che la commemorazione di 3000 bambini deportati è stata interrotta da canti inneggianti a Hitler. Non stupisce che il noto scrittore De Winter scriva che “gli ebrei tengono la valigia pronta per emigrare in Israele”. In Italia, su questo stesso argomento, assistiamo alla pubblicazione di un saggio di Stefano Allievi, recensito su Repubblica, “La guerra delle moschee”; l’autore considera la moschea come modalità di uscita dell’islam dalla sfera privata e come sfida non già contro il cristianesimo come religione, ma contro la sua cultura dominante. Non vi è traccia tuttavia, degli attacchi contro le comunità ebraiche. Per fortuna, in chiusura del saggio, vi è almeno la condanna della violenza. Ancora su quanto avviene in Italia si può leggere, sul Manifesto, un breve ma illuminante articolo in favore delle fiaccolata che si è svolta sulla scalinata del Campidoglio a sostegno dei palestinesi e del la “condanna per una occupazione militare che dura dal ’48”. Le parole virgolettate valgono più di qualsiasi commento, e non stupisce che gli organizzatori di una simile fiaccolata non abbiano ricevuto il nulla osta dalle autorità capitoline. E se ne lamentano pure… L’ex terrorista nero Bianco, assunto a suo tempo dalla società dei trasporti romani ATAC, è stato sospeso dal suo incarico, ma nei numerosi articoli pubblicati oggi sull’argomento, in particolare dal Corriere e dal Messaggero, ci si chiede se sarà l’unico a pagare. Sempre sul Messaggero Eric Salerno scrive che aumenta il numero delle rappresentanze europee dell’ANP innalzate al rango di “missione diplomatica”; dopo la Francia, la Spagna, il Portogallo e la Norvegia, è ora il turno della Gran Bretagna a riconoscere il titolo di ambasciatore al rappresentante di Abu Mazen. Fa specie che Salerno scriva che l’esecutivo di Londra è considerato filo-israeliano: dimentica evidentemente le parole recentemente pronunciate dal premier Cameron durante la sua visita in Turchia. Sul Mattino Chiara Graziani firma un vergognoso articolo nel quale descrive il viaggio di 41 pellegrini a Hebron organizzato in collaborazione con l’Opera Pellegrinaggi. Nelle sue parole diventano odiosi i mitra di Tsahal attorno alla moschea “radicata sulle sepolture di Abramo, Isacco e Giacobbe”, e gli ebrei, d a sempre presenti a Hebron (con una breve interruzione in seguito alle stragi de l ’29 che li hanno visti soccombere) sono “un altro insediamento ebraico all’ombra delle moschee”. Il pensiero della giornalista, e direi anche del quotidiano, diventa chiaro leggendo le ultime parole: “la realtà (a Hebron) è quel faccia a faccia tra i discendenti di Israele qui sepolto, ed Ismaele, suo fratello primogenito, cacciato nel deserto”. Anche qui qualsiasi commento è superfluo. L’installazione della protezione Iron Dome in Israele è in forse dopo che il Congresso USA ne blocca lo stanziamento. Lo si legge sul Riformista, e la copertura antimissile di Israele è così improvvisamente a rischio, soprattutto ora per la volontà di alcuni repubblicani, e le conseguenze rischiano di essere estremamente seri e per Israele. Nelle ultime righe di questo articolo si legge pure dell’uccisione da parte di Tsahal di “due militanti della Jihad islamica”; continua la denuncia delle azioni di Israele senza menzionare le cause che le hanno motivate. Una breve su Repubblica annuncia l’espulsione dal partito Fatah di Dahlan, l’ex capo delle forze di sicurezza; la motivazione ufficiale è la sua accertata corruzione, ma la vera causa potrebbe essere l’inizio della lotta per la successione al presidente Abu Mazen. Cecilia Zecchinelli, sul Corriere, scrive che dopo le 7 impiccagioni che ci sono state a Teheran nel giorno di natale, ieri altre due persone sono state impiccate per spionaggio in favore di Israele. Il numero, almeno quello ufficiale, sale quindi a 169 uccisioni dall’inizio dell’anno. Ed intanto i due giornalisti tedeschi, arrestati mentre intervistavano in ottobre i famigliari di Sakineh, hanno potuto incontrare in un albergo di Teheran i loro parenti per 12 ore, rientrando subito dopo nella loro cella. E sul Manifesto Marina Forti intervista l’avvocato di Sakineh, costretto all’esilio, e in questi giorni di passaggio a Roma. Egli si considera costretto all’esilio a causa della rilevanza data dai media alla vicenda, e si considera pessimista sul futuro dopo il sopralluogo svolto nella abitazione della detenuta e ripreso dalla televisione locale , sopralluogo che troppo presto aveva fatto sperare in una sua liberazione. Su l ‘Unità De Giovannangeli firma due diversi articoli sulla vicenda dei profughi di Etiopia, Eritrea, Sudan e Somalia i quali, non potendo più fuggire in occidente attraverso la Libia, tentano di raggiungere la libertà in Israele attraversando il Sinai. Qui sono presi da predoni, vicini ad Hamas ed ai Fratelli Musulmani, che pretendono il pagamento di enormi riscatti nell’indifferenza delle autorità dell’Egitto (e non solo). Quelli che vengono liberati, nella maggioranza dei casi sono spediti incontro a morte sicura nei paesi di origine; De Giovannangeli intervista anche Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (esclusi i soli rifugiati palestinesi) UNHCR, e dalla lettura sembrerebbe che tutte le colpe debbano ricadere sull’Europa che si chiude come una fortezza, mentre non vi è traccia di quanto si dovrebbe fare per risolvere in loco almeno i problemi di chi non è costretto a fuggire da cause naturali (terremo ti, allagamenti e via dicendo). Sempre su l’Unità si legge, in una breve, dell’arresto di un deputato di Hamas compiuto dagli israeliani; non vi è menzione delle cause che lo hanno motivato, e quindi non ci si deve stupire se poi, sulle stesse colonne, viene riportata una lettera al presidente Napolitano e al ministro Frattini che sollecita un intervento in favore degli abitanti del quartiere di Gerusalemme Est Silwan e dei suoi abitanti: se questa è l’obiettività delle colonne de l’Unità, i lettori non possono reagire che in un unico modo.

Emanuel Segre Amar
29 dicembre 2010