Letteratura – Appena ieri

“È I promessi sposi della letteratura ebraica”, secondo Elena Loewenthal, l’ultimo libro edito da Einaudi. Per la prima volta viene pubblicato in Italia il capolavoro del padre nobile del romanzo israeliano Shmuel Yosef Agnon, Appena ieri.
“Si tratta di un testo canonico, riferimento imprescindibile e fondativo della letteratura moderna di lingua ebraica”, spiega la Loewenthal (nell’immagine sotto), traduttrice del romanzo in italiano. “In tutte le scuole viene studiato Agnon, proprio come Manzoni da noi”. Solo che è più ironico, più vario, “più moderno di Manzoni, mi azzarderei a dire”, se non altro per ragioni cronologiche.
Appena ieri fu pubblicato in Israele nel 1946. Vent’anni dopo il suo autore fu insignito del premio Nobel per la letteratura: per molti, tuttavia, il romanzo che esce ora nelle librerie italiane “è l’indiscusso capolavoro di Agnon”. “L’opera più significativa nella storia della letteratura ebraica del xx secolo», secondo Abraham Yehoshua.
Agnon nasce in Galizia alla fine del XIX secolo in una famiglia di tradizione rabbinica. Ben presto si appassiona all’idea sionista e nel 1908 si trasferisce in Palestina. Proprio in questi anni, quelli della seconda grande ondata migratoria in Palestina, è ambientato Appena ieri: è la storia del sionista austriaco Isacco Kumer che vive le speranze e le contraddizioni dell’immigrazione ebraica verso la Terra promessa, tra il sionismo rivoluzionario e l’ebraismo ortodosso, tra Giaffa e Gerusalemme.
Tra Sonia, la bella russa, colta e emancipata, e Shifra, la figlia di un rabbino ultraortodosso. Narrando l’epos della Palestina primi-Novecento, rappresentando il subbuglio degli albori della società israeliana, Appena ieri racconta alcune delle dicotomie che hanno attraversato fino a oggi la storia dello Stato ebraico. Anche per questo, oltre che per lo straordinario valore letterario, “gli israeliani lo considerano il loro grande romanzo di formazione”, come dice Elena Loewenthal. Ogni civiltà moderna ne ha uno.
“Restano da spiegare – scrive la storica Anna Foa in un intervento sul Sole 24 ore – le ragioni della scarsa notorietà in Italia dell’opera di questo grande scrittore”, visto anche il largo successo riscosso nel nostro paese dai romanzieri israeliani, di cui Agnon è il riconosciuto maestro. Fino a oggi solo la casa editrice Adelphi ha pubblicato Agnon in Italia, ma fra i tre titoli (Una storia comune, Nel fiore degli anni e La leggenda dello scriba), non figurava il capolavoro.
La Loewenthal ipotizza che “la mole del libro – ottocento pagine -, la natura canonica e una lingua oggi forse un po’ antiquata abbiano ostacolato la sua ricezione da parte dell’editoria italiana”.
Se però, a un lettore del 2011, l’ebraico di Agnon può apparire “antiquato”, non bisogna dimenticarsi che quando fu scritto l’ebraico era una lingua che stava rinascendo, e l’uso che ne fece Agnon era a dir poco moderno: “all’epoca era un linguaggio veramente avveniristico”, spiega la traduttrice, “proiettato nel futuro: Agnon è riuscito nell’impresa di restituire all’ebraico la dimensione colloquiale”, che dopo secoli di disuso faticava a riaffermarsi.
“Per questo, traducendolo, ho cercato di rendere la colloquialità di quell’ebraico che invece all’israeliano di oggi suona vecchiotto”. Non solo per esigenze editoriali, spiega Elena Loewenthal, “ma perché mi è parsa un’operazione filologica corretta quella che rende conto della portata rivoluzionaria dell’approccio di Agnon alla lingua”.

Manuel Disegni