Voci a confronto

E già: chissà come mai nessuno ci aveva ancora pensato; finalmente, pochi giorni dopo l’ultimo attentato contro i cristiani (la strage dei copti di Alessandria), le televisioni iraniana, libanese e turca hanno spiegato che la colpa di tutto è dei sionisti. Lo leggiamo nell’articolo di Fiamma Nirenstein su Il Giornale che ritorna indietro nel tempo a quando, nel 1919, la bandiera verde dell’Egitto mostrava, insieme, la mezzaluna e la croce. Oggi, in Egitto, neppure i trapianti di organi sono permessi tra islamici e persone di altre fedi, e nel paese che Mubarak controlla a modo suo, senza più seguire i pressanti consigli dell’occidente, un futuro pieno di incognite sta dietro l’angolo. Ma i morti della chiesa copta non sono che gli ultimi, se si pensa che nel solo 2010 sono stati circa 1200 i cristiani uccisi (nei vari paesi sotto dominio islamico, la Nigeria prima tra tutti). Ed in un’intervista che ha concesso al quotidiano Padania, ancora Fiamma Nirenstein ricorda che in paesi come l’Iran e l’Arabia Saudita non c’è più spazio per i cristiani, e mentre il mondo intero si appassiona per la sorte della “islamica” Sakineh, nessuno si preoccupa della “cristiana” Asia Bibi. Più attendibile di sicuro, di quanto non siano le televisioni del mondo islamico, è l’editoriale del Foglio, che riprende le offese al papa di al Tayeb, imam di al Azhar, e che cerca di ambientare l’ultima strage; Mohammed Imarah, membro del comitato scientifico ancora di al Azhar, nel 2009 pubblicò “Il libro contro i cristiani” nel quale si legge che considerare Cristo figlio di Dio è politeismo, e quindi è passibile di morte chi sostiene simili idee. Saad Saleh, direttrice del dipartimento femminile dello stesso istituto, vorrebbe punire con la morte gli islamici che si convertono. Questo, ed altro ancora, succede in un Egitto nel quale Monsignor Fitzgerald, a lungo responsabile Pontificio del Consiglio per il dialogo interreligioso, mai contestò il divieto al proselitismo, preferendo accettare ogni genere di sopruso pur di portare avanti uno sterile dialogo, destinato a sconfitta sicura. Recentemente declassato a Nunzio al Cairo, il Monsignore ha ancora cercato di organizzare un incontro tra il Papa e l’Imam al Tantawi, incontro fallito prima ancora di iniziare. Oggi, di sicuro, la Chiesa raccoglie i frutti della sua politica. Tempi duri per i cristiani in Oriente, ed una carta geografica pubblicata su Repubblica, accanto ad un articolo di Alberto Stabile, ce ne dà un’idea. I cristiani in Oriente sono 20 milioni (5 i cattolici), ma devono vivere in paesi che hanno visto sorgere la moschea di Al Aqsa al posto di una basilica crociata, e la Grande Moschea di Damasco al posto della chiesa di San Giovanni Battista. Vi sarebbe da chiedersi come mai Stabile, il cui sentimento verso Israele è ben noto, si guarda bene dall’osservare che la stessa sorte è voluta oggi per i luoghi più sacri per l’ebraismo, come le tombe di Rachele e dei Patriarchi. Sempre su Repubblica mi permetto di segnalare un articolo di Giancarlo Zizola il cui contenuto appare, a chi scrive, estremamente confuso; si parla di “incidente di Ratisbona”, di “islam moderato”, ma il succo dello stesso non mi è affatto chiaro, e credo che non possa esserlo neppure alla maggioranza dei lettori del quotidiano. Molto precisa, invece, è l’intervista pubblicata sul Foglio al professore di diritto della New York University Joseph Weiler: non si tratta di un attacco contro l’oppressore, né contro una possibile minaccia all’islam, ma una offesa contro D. Dire la verità non è operare contro il dialogo, e si deve cercare un terreno comune senza mettere da parte le differenze; è l’unica strada per trovare un’intesa autentica. Sempre sull’argomento dell’attentato di Alessandria è opportuno segnalare la leggerezza di alcune penne (e dei quotidiani che le ospitano); oggi si segnala su tutte Roberta Zunini che, sul Fatto quotidiano, parla dei “40 anni di dittatura di Mubarak” (errore macroscopico che neppure il titolista ha rilevato; Mubarak è al potere da 30 anni). Sul Giorno Gabriele Cané ci mette in guardia osservando che anche da noi vi è un pericolo molto simile a quello che stanno affrontando i cristiani che vivono nel mondo islamico, ma siamo solo all’inizio. Rinunciamo, poco per volta, a tante realtà che erano normali fino a ieri, e, per non voler sopraffare, rinunciamo a riaffermare e consolidare i nostri valori. Israele, osserva Cané, sta combattendo contro una situazione del tutto identica alla nostra di occidentali. Su l’Opinione David Harris spiega, in modo magistrale, proprio che cosa è Israele, se lo si guarda senza il filtro della BBC e del Guardian (e di tanti media italiani), dove certo non tutto è perfetto, come in ogni stato democratico, dove tanti sono i difetti e le manie, ma dove le minoranze godono di pieni diritti (ignoti ai più nel mondo occidentale che vuole tuttavia denunciare sempre lo stato sionista). Guido Olimpio sul Corriere scrive sull’invito rivolto agli ambasciatori di alcuni paesi membri dell’Aiea a visitare due siti atomici iraniani; è l’offensiva diplomatica del nuovo ministro degli esteri iraniano, che tuttavia non potrà essere accolta, se non da quei paesi tradizionalmente amici dell’Iran, non essendo certo gli ambasciatori, ma piuttosto i tecnici, coloro che dovrebbero visitare questi luoghi (uno già in funzione, ed uno in costruzione). Molti quotidiani, come Avvenire, affrontano lo stesso tema, e va osservato che su Europa neppure si nota che l’invito viene rivolto alle persone non competenti (appunto gli ambasciatori e non i tecnici). Anche i lettori di Europa non hanno di che rallegrarsi con il direttore del loro quotidiano.

Emanuel Segre Amar