Qui Roma – Ebraico e latino faccia a faccia

“Un viaggio lungo seimila anni di storia in un’ora e mezzo” . Non è, come potrebbe sembrare, un nuovo record da battere, ma è l’affascinante percorso che ha visto, al Cnr di Roma il testa a testa fra il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma e Pietro Beltrami, direttore dell’Opera del vocabolario del Cnr moderati da Cinzia Caporale nell’incontro dal titolo “L’origine e la parola”, con cui si conclude il ciclo di appuntamenti “Dialoghi in Biblioteca”, organizzati dal direttore dell’ufficio divulgazione, relazioni istituzionali e Urp del Cnr, Pio Cerocchi. “L’ebraico e il latino, l’ebraico è vivissimo, l’ebraico è identità di un popolo che ha perso la sua patria. Il latino invece è negletto abbandonato, avversato forse proprio perché una patria ce l’ha” ha esordito Cinzia Caporale nell’introdurre gli interventi dei due relatori. “Esiste un paradosso fondamentale l’ebraico non è stato parlato per circa diciannove secoli e ora è una lingua parlatissima”, osserva infatti il rav Di Segni, che sottolinea però che la lingua non è stata parlata, ma è la lingua della liturgia ed anche della composizione scritta che ha prodotto una letteratura di alta qualità. Da esso inoltre sono nate delle lingue ibride come l’yiddish o giudeo tedesco parlato dagli ebrei dell’Europa orientale che è la più nota, ma anche numerosi dialetti locali come il giudaico romanesco, più vicino “al napoletano che al romano, perché così era il dialetto romanesco originario”. Nella Bibbia Dio creò il mondo proprio attraverso la parola, ma in quale lingua parla Dio, domanda suggestivamente il Rav e quale era la lingua parlata dal primo uomo? L’idea fondamentale è che l’ebraico sia la lingua del Padreterno lashon ha kodesh infatti non significherebbe lingua santa, ma lingua di Colui che è Santo. “Le lingue parlate cambiano con una certa rapidità perché sono influenzate dalla società cui appartengono” sostiene poco dopo il professor Beltrami raccogliendo il quesito posto poco prima dal rav Di Segni su come cambierà la lingua ebraica fra cinquanta anni quando sarà influenzata anch’essa dall’uso comune, ed è quello che è capitato al latino; da un lato si trova il latino colto e dall’altro il latino parlato dal popolo. Sta di fatto che nella tradizione antica il latino parlato e quello riservato all’ambiente colto passa attraverso modi diversi di parlare la stessa lingua. Questo però significa che chi non ha studiato non è in grado di capire il latino letterario. L’italiano è figlio dell’evoluzione linguistica del latino. «Nell’Italia medioevale non c’era un’unica lingua italiana nazionale, ma tante lingue diverse». “La lingua italiana come la intendiamo oggi ha una sua codificazione forte nel ‘500 con l’opera di Pietro Bembo. È la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio» Ma allora, vista la sorte toccata alla lingua latina dobbiamo dedurre che il cambiamento è un pericolo? Diversa è la posizione dei due studiosi, il latino ha lasciato spazio al concetto di semplificazione ne è un esempio la messa non è più recitata in latino dell’accoglienza dei fedeli secondo la logica del cambiamento. Diversa se non opposta la condizione della lingua ebraica, rimasta uguale a se stessa per secoli, “strumento di trasmissione di identità”.

l.e.