La giustizia deve essere di questo mondo

La morale cristiana è permeata da una concezione pessimistica della giustizia. È infatti la grazia che salva, non la legge. Sorta d’altronde sul rifiuto della Legge ebraica, la morale cristiana non pensa nei termini e secondo i criteri del giudizio. La sofferenza diventa segno di moralità e finisce quasi per fondare il diritto.
Da questo dogma religioso, che molti inavvertitamente finiscono per condividere nell’Europa post-cristiana (che dire poi dell’Italia?), derivano conseguenze etiche e politiche molto gravi. Se la giustizia, indubbiamente imperfetta, non può essere realizzata, né resa, allora viene confermata una scissione tra morale e giustizia. E se «la giustizia non è di questo mondo», allora la legge viene sminuita; si tende anzi ad aggirarla e infine ad abolirla. Lo scacco della legge è qui sempre in agguato insieme alla rivincita del colpevole.
Al contrario nell’ebraismo, dove ciascuno è giudicato secondo le proprie azioni, etica e giustizia restano inscindibilmente connesse. La legge mantiene la saldezza di un valore che accomuna e il risarcimento – anche dove il contesto è quello dell’imperdonabile – va considerato ed equamente quantificato. Perché si può e si deve pensare che la giustizia trionfi in questo mondo, non abbandonato al male radicale.

Donatella Di Cesare