La dignità delle donne

Nel confronto di civiltà, sempre più serrato, si è tentati di usare sbrigativi criteri di giudizio. Il che è senza dubbio un errore. Ma forse non è un errore dire che il banco di prova di una civiltà è il modo in cui sono trattate le donne. E trattate vuol dire anzitutto viste e concepite. L’infibulazione è una pratica che sgomenta e fa pensare che, là dove è diffusa, vi sia un’intenzione aperta di discriminare sin dall’inizio la donna mettendola in una condizione di svantaggio e inferiorità. Tuttavia l’uguaglianza, traguardo peraltro lontano, è stata spesso fraintesa nel mondo occidentale. Ha portato a pensare che bastasse l’emancipazione, cioè il lavoro e la parità dei diritti (sulla carta). La donna che suppone di essere emancipata è quella che ha introiettato un modello maschile e che vede l’emancipazione come abbattimento di ogni limite, come libertà astratta in cui tutto è consentito, anche la vendita del proprio corpo, se la meta è il denaro e il potere. Ecco perché più che di parità, si parla oggi di dignità delle donne. Una dignità che deve nascere dalla coscienza della differenza del ruolo, della funzione, dello spazio. E si può anzi sostenere che, non nella sovrapposizione, ma nella differenza si manifesta l’uguaglianza. Dignità è un altro modo per dire consapevolezza del limite. Perché è attraverso il limite – come insegna l’ebraismo – che può darsi la liberazione.

Donatella Di Cesare, filosofa