Il sogno di Herzl e la realtà di oggi tra nuove tecnologie e agricoltura

Avendo conseguito un dottorato in giurisprudenza e facendo di mestiere il giornalista, Theodor Herzl, il padre del sionismo, aveva una buona comprensione dei fenomeni economici, come evidenziano i numerosi riferimenti al commercio e all’imprenditoria presenti nel suo saggio Lo Stato ebraico del 1896 in cui prefigurava i contorni del futuro Stato d’Israele. Purtroppo Herzl scomparve prematuramente nel 1904, a soli 44 anni, e non potè assistere alla realizzazione del suo progetto. Se una ipotetica “macchina del tempo” consentisse a Herzl di visitare Israele oggi, a 63 anni dalla nascita dello Stato, quali aspetti dell’economia israeliana lo sorprenderebbero di più? Una prima sorpresa sarebbe probabilmente rappresentata dalla drammatica riduzione del peso dell’agricoltura nell’economia. Mentre nei primi decenni dalla nascita dello Stato, l’agricoltura svolgeva un ruolo importante nell’economia e nella società – i kibbutzim fornivano una quota non piccola del prodotto lordo e dell’occupazione e, soprattutto, fornivano al paese l’élite politica e militare – col passare degli anni tale peso si è ridotto drasticamente: attualmente l’agricoltura rappresenta solo il 2% dell’occupazione e del prodotto lordo di Israele; al confronto, in Italia il peso dell’agricoltura è maggiore, incidendo per il 2% del prodotto lordo e il 4% dell’occupazione. Vale la pena di notare che tale riduzione del ruolo dell’agricoltura non è avvenuto spontaneamente, per una sorta di “crisi di vocazioni”: è il frutto di una scelta delle autorità, rivelatasi lungimirante in un territorio semidesertico, di ridurre l’importanza di un settore che ha un elevato fabbisogno di acqua e il cui prodotto può essere facilmente sostituito con importazioni a buon mercato.
Dal 1995 infatti le autorità di Israele hanno progressivamente ridotto i sussidi al settore agricolo; in particolare, hanno ridotto i generosi sussidi al prezzo dell’acqua per uso agricolo, prezzo che è salito in misura significativa e che nel 2014 dovrebbe raggiungere il suo costo di mercato, assai elevato a causa delle continue siccità e del riscaldamento globale. Anche grazie ai risparmi in sussidi agricoli, il bilancio dello Stato ha trovato risorse per incentivare la ricerca e gli investimenti in nuove tecnologie, un settore che ha un alto valore aggiunto e per sviluppare il quale Israele dispone di materie prime, quali il capitale umano e quello finanziario, pressoché illimitate. Un secondo fenomeno che probabilmente sorprenderebbe anche un inguaribile ottimista come Herzl è rappresentato dal fatto che da alcuni anni l’andamento dell’economia di Israele è per molti aspetti migliore di quello delle altre economie industriali (Stati Uniti ed Europa), in parte grazie al boom delle nuove tecnologie dell’ultimo decennio, in parte grazie al fatto che il sistema finanziario israeliano ha risentito poco della crisi finanziaria che ha investito i paesi industriali dal 2008. L’importante conseguenza di questa maggiore solidità dell’economia è che, probabilmente per la prima volta dalla nascita dello Stato, per gli ebrei che vogliono realizzare il “sogno sionista” ed emigrare in Israele questa scelta non comporta necessariamente un sacrificio economico. In primo luogo il tasso di disoccupazione è attualmente più basso che in molti paesi europei: 6,6% contro l’8,5% in Italia e il 10% nell’area dell’euro. Inoltre sul mercato del lavoro israeliano, modellato sull’esempio di quelli anglosassoni, è strutturalmente più facile trovare (e perdere) un posto di lavoro che non in Europa continentale (e in Italia il mercato del lavoro è uno dei più “bloccati” d’Europa). Per i giovani che emigrano in Israele vi è anche il vantaggio di avere a disposizione delle università di altissimo livello, che offrono una chiave d’ingresso in più nel mondo del lavoro. Morale della favola: la scelta ideologica di fare la cosiddetta aliyah (“salita” in Israele) può conciliarsi con una scelta economica vantaggiosa. In conclusione, un Theodor Herzl redivivo rimarrebbe sorpreso per queste due caratteristiche dell’economia israeliana, del tutto imprevedibili quando alla fine dell’800 egli “progettò” lo Stato d’Israele, ma molto probabilmente ne sarebbe fiero.

Aviram Levy, Pagine Ebraiche, luglio 2011