Durban III e il boicottaggio

Pomodori, peperoni, carote, meloni, fragole, ma soprattutto i fiori sono il prodotto ortofrutticolo più boicottato in Israele. L’Agrexco, azienda leader israeliana nell’esportazione di questi prodotti, è appena finita in bancarotta, in parte a causa proprio del boicottaggio. Venti organizzazioni e catene commerciali in tredici paesi europei avevano aderito al boicottaggio delle merci Agrexco, perché lo 0,4 per cento sarebbero prodotte in alcune fabbriche al di là della Linea verde, nella valle del Giordano e a Tekoa. Da quando Israele è entrato nel business dei fiori negli anni Settanta è arrivato perfino al secondo posto al mondo nella loro produzione, dopo l’Olanda. L’Unison, il sindacato degli oltre un milione e mezzo di dipendenti pubblici inglesi, aveva appena promosso il bando di Agrexco. Questo è soltanto l’ultimo successo in un solo anno del movimento globale che promuove il boicottaggio d’Israele. Il fondo petrolifero norvegese si è ritirato dalla compagnia Africa-Israel e dalla Danya Cebus, citandone il coinvolgimento nella “costruzione di insediamenti”. Alcuni giorni fa la Coop svedese ha smesso di vendere i macchinari della Soda Stream israeliana. Il maggior fondo pensione olandese, il Pensioenfonds Zorg en Welzijn, sta ritirando gli investimenti nelle compagnie israeliane (banche, aziende di comunicazioni e sicurezza). Un fondo pensione svedese ha abbandonato gli investimenti nella Elbit per il ruolo nella barriera di sicurezza. Il comitato etico di quattro fra i maggiori fondi pensione svedesi ha chiesto alla Motorola di cessare ogni attività nel West Bank (o sarà boicottaggio). Il fondo pensione norvegese e la tedesca Deutsche Bank hanno entrambe abbandonato gli investimenti nella Elbit. Il sindacato francese della Cgt scuola ha rotto le relazioni con l’Histadrut, il sindacato israeliano. Il Congresso dei sindacati scozzesi ha votato la mozione per il boicottaggio di Israele, così la Fédération Autonome Collégial, sindacato di insegnanti pubblici e privati del Québec. Il maggiore negozio della compagnia israeliana di prodotti di bellezza Ahava ha appena chiuso a Covent Garden (ogni giorno c’erano picchetti contro l’azienda). La banca inglese Black-Rock ha ritirato investimenti nelle città ebraiche in Cisgiordania in seguito alle pressioni di tre banche norvegesi che commercializzano prodotti finanziari della BlackRock. Un consiglio provinciale scozzese ha promosso il boicottaggio dei libri stampati in Israele. La Eden Springs, la maggiore compagnia di acqua in Israele, non avrà rinnovato il contratto con la London School of Economics. Anche il centro ospedaliero universitario valdese di Losanna, uno dei principali complessi ospedalieri europei, ha rinunciato al rifornimento di acqua minerale israeliana. Gli studenti dell’Università di Edimburgo hanno approvato il boicottaggio israeliano, l’Università sudafricana di Johannesburg ha tagliato ogni relazione con quella israeliana Ben Gurion, alla De-Paul University non sarà più servito l’hummus israeliano Sabra, la University of London Union (il maggiore gruppo studentesco europeo) ha votato il boicottaggio e il governo spagnolo ha bandito l’Università israeliana di Ariel dalle competizioni scientifiche. Il sindacato norvegese El & It, che rappresenta decine di migliaia di lavoratori dell’industria energetica e di comunicazioni, ha adottato il boicottaggio del sindacato israeliano Histadrut. L’azienda francese Veolia ha dismesso il suo ruolo nella costruzione della lina ferroviaria a Gerusalemme. Lo stesso ha fatto la Deutsche Bahn e ci sono forti pressioni sull’azienda italiana Pizzarotti. Decine di artisti musicali hanno cancellato i tour in Israele Elvis Costello, Deep Purple, Gil Scott-Heron, Roger Waters). La cooperativa americana US Food di Olympia ha approvato il boicottaggio israeliano. I negozi della cioccolata israeliana Max Brenner sono sotto pesante boicottaggio in Australia. La guerra economica a Israele si sta intensificando a ridosso di “Durban III”.

(Giulio Meotti, Il Foglio, 25 agosto 2011)