shofar…

Il suono dello Shofàr è introdotto dalla lettura di alcuni versi biblici tra cui quello del Salmo 81: “… poiché questo è Choq, uno statuto per Israele, Mishpàt, una legge per il Signore di Yaaqòv…”. Il suonare lo Shofàr a Rosh Ha Shanà costituisce per Israele, un Choq, uno statuto, mentre per Yaaqòv è un Mishpàt, una legge. Cosa significa? Quale è la differenza per il medesimo rito? Quale è la differenza se chiamiamo il popolo con il nome Israele o con il nome Yaaqòv ? Non ci riconosciamo forse in ambedue le definizioni? E’ come se il suono dello Shofàr assumesse una valenza diversa con il cambio del nome identitario. E’ statuto, ma anche legge, a seconda di come si definisce la nostra identità. La parola mishpàt significa “legge”, “diritto” ma indica anche una “frase”. Potremmo dire un “diritto dialogale” che si contrappone all’ idea del Chòq, uno statuto che non consente interpretazioni razionali. Israele è il nome di un’identità ideale, poiché “hai padroneggiato, su Dio e sugli uomini….”, mentre Yaaqòv si riferisce alla parte debole della nostra identità. E’ come se Israele non avesse bisogno di motivazioni razionali per il suono dello Shofàr, e quindi per Israele è un Choq, una disposizione statutaria e basta. Per Yaaqòv invece è necessario un mishpat, una frase, una spiegazione, perché è soprattutto questa parte di noi che il suono dello Shofàr dovrà risvegliare dal letargo.

Roberto Della Rocca, rabbino