Qui Venezia – Amor sacro o amore profano?

Il Cantico dei Cantici, uno dei poemi più amati e più misteriosi. Perché il titolo? -come se fosse la quintessenza dei poemi. È vero che lo scrisse il re Salomone per l’etiope Regina di Saba, nigra sed formosa? È un canto erotico, o l’erotismo serve solo come allegoria mistica? Eppure le allusioni sessuali sono inequivocabili. Perché allora è stato assunto nel canone biblico?
Ma nessuno resiste al fascino dei versi di altissima poesia, di intensa passione, alle evocative descrizioni di fiori, vesti, profumi , ai ricordi suscitati dai luoghi, Gerusalemme, l’oasi di En Ghedi…
Il Cantico fa parte dell’immaginario collettivo di tutti. Che lo si sia letto o solo se ne sia sentito parlare, che se ne abbia in casa una copia erudita, o magari solo un souvenir calligrafico acquistato a Safed, dove le lettere microscopicamente vergate formano disegni di melograni e colombe, è difficile ignorarne l’esistenza.
Eppure il senso primario è stato per secoli accantonato, in favore di una interpretazione mistica, sia da parte ebraica che da parte cattolica (spesso arrampicandosi sugli specchi pur di ignorare gli evidenti riferimenti sessuali..)
Amore fra D-o e il suo popolo, fra Gesù e la sua Chiesa, fra il Divino e l’umano, o fra un uomo e una donna?
Amor sacro o amore profano?
È questo il titolo di un interessante convegno che ha luogo questo fine settimana fino al 6 novembre a Venezia, organizzato dall’Università Ebraica di Gerusalemme e che vede riuniti alcuni tra i più insigni studiosi del Cantico al mondo: in primis Moshe Idel, il grande studioso della Kabbalah, che si confronterà con l’esperto biblico Yair Zacovitch, con Guy Stroumsa, professore di religioni comparate, Haim Baharier, noto in Italia per le sue straordinarie lezioni di ermeneutica biblica, Marco Ceresa, che insegna all’Università Ca’ Foscari letteratura e cultura dell’Est Asiatico (come non paragonare il Cantico alle opere della religione tantrica?)
La scrittrice Eliette Abécassis, la filosofa dell’Ecole Normale Supérieure Monique Canto-Sperber, Menachem Ben Sassoun e Sarah Stroumsa, rispettivamente presidente e rettore dell’Università Ebraica di Gerusalemme, Ami Bouganim, il brillante scrittore e filosofo, parleranno di amore sacro e amore profano, del sesso nelle diverse tradizioni religiose, del simbolismo del Cantico dei Cantici, e del rapporto tra Cantico ed Ecclesiaste. Per finire con una tavola rotonda, domenica mattina, su Sesso e politica (tema ahimé di fin troppa attualità) che vedrà Gad Lerner, Sergio della Pergola, lo psicologo Daniel Sibony, e la sociologa Eva Illuz discutere del perché il potere politico sembra alimentare una sessualità smodata (da Kennedy a Clinton, da Strass Kahn a Berlusconi a Moshe Katsav… tutto il mondo è paese…)
I seminari, in francese e in inglese (non è prevista la simultanea in italiano) saranno corredati di visite alla Biennale e al Ghetto, di uno straordinario concerto di Myung-Whun Chung alla Fenice, e degli a-solo della soprano americana Brett Kroeger che presenterà una carrellata di diverse versioni musicali del Cantico attraverso i secoli.

Viviana Kasam

Il Cantico dei Cantici: il poema d’amore più conosciuto, più commentato, più tradotto nella Storia, e anche il più misterioso. Che cosa significa il titolo? Perché un poema così fortemente erotico è stato assunto sin dall’antichità (Concilio di Yavnè, 90 dC), nel canone dell’Antico Testamento? E come mai nelle tradizioni religiose dell’occidente, quella ebraica, quella cattolica, quella cristiana, la letteralità del testo, che descrive senza mezzi termini un amplesso, è stata “freudianamente” rimossa in favore di una interpretazione mistica spesso tirata per i capelli, così forzata nel diniego dell’evidenza da apparire quasi assurda ad un occhio laico e smaliziato?
Giriamo i quesiti a Moshe Idel, considerato oggi il massimo studioso di mistica ebraica, che insegna alla cattedra che fu di Gershom Scholem, Haim Baharier, famoso per le sue lezioni di ermeneutica biblica diventate cult, e Padre Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose, scrittore, editore di Qiqajon, profondo conoscitore e interprete delle Scritture.
Perché il titolo?
Baharier: Se abbracciamo ciò che dice Rashi al riguardo si tratterebbe di una valutazione qualitativa: un canto sopra ogni canto. Oppure un canto per tutti i canti. Seguendo invece il commento di Rabbi Israel Salanter, il Cantico dei Cantici è un testo paradigmatico della pluralità dei significati e nello stesso tempo dell’univocità: ossia una voce profonda, separata, sempre identificabile.
Bianchi: Questo titolo – che coincide con la prima riga del testo: “Cantico dei Cantici, che è di Salomone” – è un superlativo, dunque indica “il canto per eccellenza”, il più sublime tra tutti i canti cantati in Israele. I rabbini dicevano che c’è una corrispondenza tra questa espressione e il Santo dei Santi, ovvero il luogo più interno del Tempio, sede della presenza di Dio. È un modo simbolico per affermare che la parola di Dio è presente più che mai in questo piccolo gioiello letterario.
Dunque l’autore fu davvero il re Salomone?
Baharier: Dal punto di vista storico saremmo legittimati ad avere dei dubbi. Se però immaginiamo una sorta di casting dobbiamo ammettere che il ruolo di autore del Cantico ben si addice a Re Salomone.
Idel: Ritengo di no, il testo è probabilmente più tardo di qualche secolo rispetto al regno di Salomone, ma questa attribuzione è stata fondamentale per far adottare il Cantico nel canone biblico.
Bianchi: Non è realistico attribuirlo al Re Salomone. Però c’è un senso logico in questa attribuzione, legato al fatto che nel testo viene citato alcune volte (per l’esattezza sei) proprio il Re Salomone. Approfondendo questo dato, potremmo chiederci: per una innamorata il suo amato non è forse sempre un re? In quest’ottica è bello pensare che i due personaggi siano in qualche modo un re e una regina, anche se nella realtà materiale del testo sono più probabilmente un pastorello e una pastorella. L’amore descritto è quello di due ragazzi, è l’amore di tutti i ragazzi innamorati. L’autore, chiunque egli sia, è certamente un poeta raffinato, capace di descrivere l’amore con grande maestria.
Ma di quale amore stiamo parlando: amore sacro, amore profano, o entrambi?
Idel: Secondo il suo significato originario, è un canto erotico secolare, che solo più tardi è stato allegorizzato sia nella tradizione ebraica che in quella cristiana, per adattarsi a nuovi valori religiosi emersi più tardi, a partire dal primo secolo dopo Cristo.
Bianchi: Direi che il Cantico celebra l’amore umano in tutte le sue infinite sfaccettature, alle quali si può alludere solo in chiave poetica: la lontananza, il cercarsi, il rincorrersi, il ritrovarsi, l’amplesso… E’ significativo che il nome di Dio compaia solo alla fine, quando si dice che l’amore è una fiammata, è un fuoco divino. In questo senso, nella tradizione ebraica il Cantico è diventato ben presto simbolico dell’amore di Dio per il suo popolo; nella tradizione cristiana è normalmente simbolico dell’amore tra Cristo e la Chiesa o, in ambienti monastici, tra Dio, tra Cristo e il singolo credente. In questo cammino il senso letterale del Cantico fu totalmente oscurato. Quando però si trattò di inserire questo poema nel canone dell’Antico Testamento molti si opposero, proprio per gli espliciti riferimenti al sesso contenuti in queste pagine. Fu Rabbi Akiva a farcelo entrare, durante il Concilio di Javne (fine del I secolo d.C.), insistendo sull’interpretazione simbolica di cui si diceva. Celebri sono le parole da lui usate per giustificare tale inserimento: “Il mondo intero non è degno del giorno in cui il Cantico dei Cantici è stato donato a Israele: tutte le Scritture infatti sono sante, ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei Santi!”.
Baharier: Non vedo una compresenza o alternanza di ‘amori’ di diversa natura; percepisco come uno e unico l’amore espresso dal Cantico: amore sacro quale approfondimento dell’amore profano e amore profano quale amore sacro ancora imperfetto, sentimento acerbo, in divenire.
Quale significato si deve quindi attribuire all’erotismo presente nel testo?
Idel: Si tratta di una forma di erotismo assolutamente naturale, rurale, libero da restrizioni religiose, che ha luogo nella natura , non in un ambiente urbano. Da questo punto di vista la nostra esperienza urbana contemporanea, anche quando parliamo di amore libero e enfatizziamo la dimensione corporea dell’esperienza, è molto diversa dal concezione di base che permea il testo antico.
Baharier: L’erotismo attiene a ciò che si nasconde e al tempo stesso si rivela, alla presenza nell’assenza. Il Cantico dei Cantici ma anche tutta la Torà sono permeati da tale dualità che sicuramente seduce il pensiero e genera ermeneutica. “Aggiungere è sottrarre”, recita un detto talmudico. L’erotismo in generale e quello del Cantico in particolare, dovrebbe acuire la nostra capacità di comprendere simbolicamente. Per l’appunto, il vestito coprente e aderente che nasconde e rivela, simbolo per eccellenza dell’erotismo e quindi di ciò che è relazione, si dice in ebraico “simlà”, il cui etimo omofonico “semel” significa “simbolo”.
Bianchi: Questo erotismo è la cifra riassuntiva di un naturale rapporto d’amore tra due ragazzi. Un rapporto, si badi bene, senza alcuna allusione a una vicenda matrimoniale! In questo senso è un poema estremamente trasgressivo, così trasgressivo che nelle interpretazioni tradizionali si sentì sempre il bisogno di leggerlo facendo riferimento a uno sposo e a una sposa. Ma nel Cantico – lo ripeto a scanso di equivoci – non c’è alcun accenno a un rapporto sponsale istituzionalizzato.
C’è una diversità tra l’interpretazione ebraica del Cantico e quella cattolica?
Idel: Nell’ebraismo ci sono parecchie forme di interpretazione del Cantico, che riflettono uno spettro di valori diversi nel tempo. Interpretazioni mistiche e filosofiche, alcune ispirate da fonti greche ed ellenistiche attraverso la mediazione dei testi musulmani medioevali. Tuttavia la visione più diffusa del Cantico anche in mondo ebraico è quella che lo considera un riflesso dell’amore erotico fra Dio e il suo Popolo, definito la Kenesset Yisrael, l’assemblea di Israel, e raffigurato come la sua sposa. Questa interpretazione nasce dall’antico paragone di Rabbi Aqivah, ed è stata assunta nell’ebraismo rabbinico forse in competizione con la pretesa cristiana che la Sposa fosse l’ecclesia, e cioè la Chiesa Cattolica. È un concetto che si riflette in molti commentari del Cantico, fino a diventare preponderante.
Bianchi: Nella tradizione ermeneutica cattolica il rifiuto dell’interpretazione letterale nasce da una visione “angosciata” della sessualità, una visione che, semplificando, potremmo definire nemica del piacere. Nell’ambiente monastico, in particolare, si consolida la trasfigurazione del Cantico letto come una sorta di inno sacro, in cui lo sposo è Gesù e la sposa la Chiesa: al riguardo, basta leggere i commenti di san Bernardo di Clairvaux, che è stato il più grande esegeta cattolico del Cantico. Solo negli ultimi sessant’anni in ambito cristiano si è cominciato a leggere il Cantico nella sua dimensione letterale. Prima non se ne aveva il coraggio. Fu Dietrich Bohnoeffer, il grande teologo luterano ucciso dai nazisti nel 1945, ad aprire la strada, leggendo questo poema come un canto di amore umano. Egli fece al riguardo alcune considerazioni decisive, che hanno radicalmente mutato l’interpretazione consolidata.
Baharier: A differenza della tradizione cristiana, secondo la tradizione ermeneutica ebraica non possono esistere piani esclusivi di lettura del testo sacro: una lettura o tutta allegorica, o tutta pedagogica, o tutta simbolica. Le varie letture devono poter coesistere. La lettura è un avvenimento. E poiché per la tradizione ebraica un avvenimento simbolico è un avvenimento, non entro nel testo del Cantico per braccare i simboli che rimandano a una certa realtà, ma ricerco il significato simbolico di questa realtà.
Può il Cantico essere paragonato a esperienze di erotismo mistico presenti in altre culture e religioni, per esempio il tantrismo?
Idel: In senso letterale, ci sono pochi parallelismi con l’antico Oriente. Nel senso allegorico e mistico, ci sono invece molti parallelismi con forme di misticismo nell’Europa medioevale e rinascimentale. Nonostante le grandi diversità tra l’interpretazione mistica del Cantico e altre forme di erotismo mistico, c’è tuttavia qualcosa in comune: questi approcci enfatizzano il raggiungimento di una spiritualità individuale a scapito del piacere fisico per sè. Quelle che rimangono peculiari al solo ebraismo sono invece le interpretazioni cabalistiche , fiorite a partire dal Medioevo, in particolare la più diffusa, secondo la quale si crea un forte parallelismo tra la coppia umana, inferiore, e quella più “alta” pertinente al regno divino, generando una forma di isomorfismo. Ovvero, ciò che viene fatto a livello inferiore, tra gli uomini, si ritiene provochi un impatto sulla coppia alta, e dunque il rapporto umano, che genera corpi, si ritiene possa contribuire a una più elevata forma di rapporto all’interno dei poteri divini, capace di generare anime.
Baharier: Non vedo analogie. Come ho detto, gli ingredienti principali del Cantico sono celamento e rivelazione: una forma di erotismo pervade questo testo in un movimento perpetuo di entrata e di uscita da esso, di ritrosia e di emergenza. Una dimensione erotica anche nel senso di esclusività: c’è il testo e il lettore. Certamente un lettore con la sua storia e dentro la sua storia, ma per il testo è solo il lettore vivente in quel momento. Soltanto in seguito a questo ‘incontro amoroso’ (in ebraico “qerià”, lettura, contiene l’etimo dell’incontro inatteso e improvviso), fatto di impegno e di studio, si è invitati a creare nel mondo il luogo del confronto. Non occorrerebbe dunque una esperienza erotica esterna.
Bianchi: Non credo che si possa paragonare il Cantico alle tradizioni orientali come il tantra. In quell’ambito il piacere sessuale, riservato agli iniziati, è ritenuto una via di accesso al misticismo. Nel Cantico invece si narra l’amore umano, si celebra il piacere umano accessibile a tutti, o meglio a chiunque sappia amare con consapevolezza. In sintesi, nella tradizione ebraica e cristiana è la traslazione simbolica a far accedere al piano spirituale, non la realtà dell’atto sessuale, come avviene nelle tradizioni orientali.
Eppure il significato letterale, l’amore erotico, è passato in secondo piano rispetto alla predominante interpretazione mistica del poema. È stata una rimozione consapevole?
Bianchi: Certamente sì nell’esegesi cattolica. Questa rimozione è il frutto di una visione dualistica della sessualità, ereditata dal mondo greco, in particolare dal platonismo. Per questo disprezzo della sessualità si è voluto cancellare ogni riferimento alla fisicità presente nel Cantico: purtroppo si è scelto di considerare il testo solo in chiave simbolica, negando il grande valore umano che esso contiene. In sintesi, occorrerebbe saper tenere insieme queste due dimensioni, come ha scritto con intelligenza il cardinale Ravasi, in un suo commento al Cantico: “L’amore umano pieno, dove corporeità ed eros sono già linguaggio di comunione, giunge di sua natura a dire il mistero dell’amore che tende all’infinito e può raggiungere la realtà trascendente e divina”.
Baharier: Per quello che concerne l’ermeneutica ebraica, non penso proprio ci sia alcuna rimozione. Ritengo che il significato più evidente sia quello che scaturisce dal percorso ermeneutico concepito come un imperativo categorico di lettura dignitosa.
Idel: Le più tarde interpretazioni mistiche del Cantico in ambienti ebraici non hanno assunto la necessità di rifiutare il significato letterale, corporeo, hanno invece ribadito la coesistenza dei due piani, come già spiegato. Poichè all’interno dell’ebraismo non esiste alcuna forma di ascetismo istituzionalizzato –monaci, suore, monasteri, ordini- e la verginità non è un valore religioso superiore, l’erotismo fisico non è stato concepito dalla maggior parte dei Maestri ebrei come antagonista a quello spirituale . Non dovendo scegliere tra corpo e spirito, è stato possibile per gli esegeti ebrei di abbracciare contemporaneamente entrambe le forme di esperienza ed entrambi i livelli di significato.

V.K.