«Giuda» è un insulto

L’organo di stampa «Il Giornale», di proprietà della famiglia Berlusconi, il 7 ottobre scorso ha dato notevole risalto – chissà, magari più di altri – al «Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sull’antisemitismo» i cui risultati, in questi giorni, hanno fatto il giro del mondo. Dall’Argentina alla Germania lascia a bocca aperta la percentuale, calcolata nel documento, di un 44 per cento di italiani ostile agli ebrei. Ma i numeri, pur eclatanti, finiscono per essere vuoti se non sono accompagnati da una riflessione.
E così, a soli pochi giorni dalla denuncia, evidentemente più urlata che pensata, «Il Giornale» usa con disinvoltura un insulto antisemita nel titolo di apertura del 5 novembre: «I Giuda hanno paura». Sì, perché le parole non sono etichette vuote. E tanto meno lo sono i nomi. «Giuda» è un insulto antisemita. Il nome proprio ebraico Yehudà, attraverso il personaggio di Giuda Iscariota, considerato responsabile della morte di Gesù di Nazareth, dopo averlo tradito per denaro, passa, prima in greco, e poi in latino, nella parola Iudas, «giudeo». «Giuda» è dunque l’archetipo che compendia tutti quegli aspetti negativi a cui la teologia della sostituzione ha voluto relegare l’ebreo: avido, traditore, deicida.
Chi dice «Giuda», non necessariamente a un ebreo, insulta anzitutto gli ebrei. Si serve, per ignoranza, disattenzione o malafede, di quelle offese che la femminista ebrea americana Judith Butler ha definito «Parole che provocano». Sono parole che sfuggono al controllo ma il cui uso non è per questo meno grave e sintomatico. Perciò ne va additata la violenza che le produce.
Certo in questo periodo sembra che in Italia le parole siano armi di potere, tanto più dannose, perché prive di contenuto. Come se fosse indifferente sceglierne una piuttosto che un’altra. Ma le parole devono essere considerate alla stregua dei fatti. Così resta la domanda: come mai «Il Giornale» può aprire con un titolo del genere? Si sarebbe tentati di rispondere: antisemitismo di fondo, o meglio, da retrobottega, che resta, pervicace, malgrado ogni operazione di lifting.

Donatella Di Cesare, filosofa