figli…

Che cos’hanno di particolare Efràim e Menashè, da meritare di essere a tutt’oggi citati di esempio nella benedizione che il padre impartisce ai figli (“Ti ponga D.o come Efràim e come Menashè”)?
Nel corso delle ultime Parashòth abbiamo seguito Yosèf e visto il suo attaccamento continuo al mondo ebraico, nonostante gli allettamenti del mondo egizio. Certamente aveva avuto un’ottima educazione. Ma i suoi figli, nati in Egitto da madre egizia, lontani dalla benefica influenza del nonno paterno e sottoposti a quella del nonno materno, Potiféra’, sacerdote di Eliopoli, avevano certamente maggiori difficoltà. Invece i Maestri sottolineano come abbiano mantenuto sempre la loro identità ebraica, a partire dai loro nomi, che portavano con orgoglio e che sono memoria dell’azione divina nelle vicende umane. Per questo motivo Ya’aqòv li cita ad esempio nella benedizione: essi sono la riprova che con l’impegno e la volontà è sempre possibile conservare l’Ebraismo nei propri discendenti. Da essi quindi possono trarre stimolo ed esempio quei genitori che adducono come scusante dell’allontanamento dei propri figli dalle tradizioni ebraiche le difficoltà insite nel mondo circostante.

Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana