Noi? Voi?

Termina questa giornata, 27 Gennaio 2012. Giorno della memoria, giorno di cui si discute, in cui si ricorda, attraverso cui si tenta di dar voce alle lotte del presente. La memoria che, per sua natura, ci propone una sfida: ricordare in modo intelligente, sensibile e allontanare il pericoloso rituale di una commemorazione che, anno dopo anno, rischia di spogliarsi dei suoi contenuti. A questa sfida, anche quest’anno, hanno ben risposto le innumerevoli iniziative promosse in tutta Italia. Momenti di incontro ragionati e partecipati. Eppure a “far notizia” è stato qualcos’altro; e come ho appreso, ormai da tempo, di rado la notizia si accompagna al contenuto. A far scattare la polemica è stato Alessandro Sallusti su Il Giornale (leggi l’articolo), con un articolo discutibile (di cui discuteremo), e un titolo altrettanto discutibile ma soprattutto eccessivo nelle misure, prepotente. Che voleva dirci con questo titolo? Proveremo a ipotizzare qualche risposta, ma è sempre meglio partire dai fatti.
Sallusti pone l’attenzione, secondo lui mancata e a ragione, sull’aggressione all’italia portata avanti da Der Spiegel. Fino a qui tutto bene. Doveroso è denunciare chi ancora parla di razza, doveroso scrivere e aprire il dibattito.
Eppure sorgono due domande: perché non lo ha fatto prima? Der Spiegel aveva già pubblicato da qualche giorno. E ancora: ha davvero denunciato, aperto il dibattito?
Molte voci si sono levate contro l’articolo de Il Giornale. I più hanno denunciato la strumentalizzazione che, senza dubbio, fa inorridire. Difendersi da un’accusa gettando sull’altro i suoi peccati, il suo peccato: la shoah. E farlo durante il giorno della memoria!
E non finisce qui: a far inorridire è anche un falso storico che si manifesta nella sua sbrigatività. Sallusti semplifica la storia (mai cosa fu più pericolosa!) in due righe: da una parte i tedeschi cui imputare Auschwitz, dall’altra gli italiani che hanno salvato “centinaia di migliaia” di ebrei. Ma ancora c’è qualcosa che non mi torna, che lascia un senso di amarezza di fondo. Infatti oltre i contenuti e le motivazioni c’è qualcos’altro che non mi convince. Non mi convince il “tono” con cui l’articolo viene portato avanti, non mi convince chi punta il dito sull’altro, chi cerca di far confusione invece di analizzare, chiarire questioni. E paragonare due tragedie lontane nel tempo e che nulla hanno in comune, è fare confusione.
Non mi piace pensare che gli italiani abbiano “sulla coscienza una trentina di passeggeri della nave” e “quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno ammazzati sei milioni.” Non mi piace perché non credo sia giusto contare le vittime, meritano molto più rispetto. E più di ogni altra cosa, credo ciò non debba esser fatto per stabilire chi è “il più bravo”. Cosa c’è dietro questa necessità di contare i morti, le colpe? Perché questo bisogno di affermarsi come migliori di altri (in questo caso, meno peggio)? A cosa porta questo atteggiamento?
Non porta a nulla di buono, e forse è proprio questo che fa nascere quel senso di amarezza. Mi spaventa pensare che, ancora oggi, sia tanto diffusa la tendenza alla difesa della propria parte aprioristicamente. Vedo soffocare ogni possibilità di dibattito laddove si creano blocchi contrapposti, noi e voi.
Non sopporto le strumentalizzazioni, né chi reinventa la storia, ma più di ogni altra cosa giudico pericoloso questo atteggiamento. Dovremmo aver imparato la lezione, dovremmo riuscire ad allontanare chi crea demoni nella controparte, chi si serve del nemico esterno per rafforzarsi internamente, chi crea odio e dà voce a stereotipi. Per queste ragioni questo meccanismo è rischioso, per questo è doveroso ripromettersi di svelarlo e sabotarlo. Un modo, con altri, per rispondere alla sfida che la memoria ci lancia!

Dana Portaleone