“Creare, ricordare”

“Se capire è impossibile, conoscere è necessario” scriveva Primo Levi, e la conoscenza attraverso lo studio dei documenti e dei testi è possibile anche a generazioni di distanza dalla Shoah. Ma cosa fare con il coinvolgimento, con l’immedesimazione? Per il momento, ma ancora per poco, la risposta sono i sopravvissuti e le loro testimonianze. Chiunque li ascolti, non ebrei inclusi, rimane colpito dalle loro storie, e casomai dopo decide di studiare per capire meglio quel che ha ascoltato. Nel futuro, quindi, dovremo preoccuparci soprattutto di come trasmettere il ricordo della Shoah a livello emotivo, considerato anche che la Shoah diventa sempre più un “già sentito” e “un già visto”. Potremmo affidarci ai film tipo “Il Pianista”, ma devono essere di livello, per non finire come “Mi ricordo Anna Frank”: ho subito cambiato canale quando ho visto un satollo Moni Ovadia, fare l’inverosimile parte di un internato. La difficoltà nel ricreare oggi su un set cinematografico le condizioni emotive di un lager, è che lì la realtà era oltre ogni immaginazione. Un’altra soluzione sarebbe attraverso l’arte, intesa come pittura/scultura. Bisognerebbe, cioè, spingere alcuni artisti a creare opere forti e intense sulla nostra tragedia. Per questo, non importa che l’artista abbia vissuto la Shoah; basta che si senta immedesimato in quanto avvenne, e ne tragga ispirazione per creare qualcosa di poco cervellotico, qualcosa che passi il messaggio senza necessità di troppe spiegazioni di esperti, che vada dritto al cuore, senza necessità di ricostruzioni inverosimili della realtà. Non mancano gli artisti capaci di creare opere del genere, e non è neppure troppo difficile stimolare la loro creatività in questo senso. Si supererebbe il problema del trascorrere del tempo, e si potrebbe anche creare un circolo virtuoso che ispiri altri artisti in varie discipline.