…antisemitismo

È morto Antonio Tabucchi, e a qualcuno piace farlo passare per antisemita. Nel 2005, all’Università di Firenze, l’ambasciatore israeliano Ehud Gol veniva contestato dagli studenti e Antonio Tabucchi prendeva le parti di questi ultimi. Viene citata allora l’Agenzia Giornalistica il Velino che, con un contorto salto retorico, parlava di intellettuali e opinionisti carichi di “un’antisraelismo che nasconde antisemitismo viscerale”. Ora, Tabucchi era sicuramente critico nei confronti della politica israeliana, ma ‘antisemita viscerale’ direi proprio di no. Non si sa a chi giovi denunciare come antisemita chiunque critichi la politica israeliana. Certo non giova al confronto e alla comprensione delle cose. E dovremmo poi considerare antisemiti una buona pare dei cittadini di Israele. Allora, quando un uomo muore e non si può più difendere è utile recuperare anche frammenti di ricordi. Quando mia figlia mi disse che aveva telefonato Tabucchi credetti a uno scherzo. Non ci conoscevamo. Mi richiamò, e come per assolvere a un compito mi disse che voleva complimentarsi per un mio articolo contro i pregiudizi antisemiti vomitati da Sergio Romano in Lettera a un amico ebreo. Nessuno lo aveva spinto a cercarmi e a dirmelo. Sperava che ci si potesse vedere. Ci incontrammo a casa sua a Vecchiano e parlammo anche di Israele, dibattendo opinioni in dissenso, nessuna certo di carattere antisemita. Tabucchi era troppo intelligente per essere un semplificatore. Si stava anche interessando a Uriel Acosta, una tormentata figura di marrano, morto suicida. Ci rivedemmo a Venezia, come amici di vecchi tempi, sulla terrazza dell’Hotel Monaco, davanti a una minibottiglia di champagne. Era venuto per il processo a Sofri, guidato dal suo senso civile, senza tregua. E piace ricordare che quando al terrorista omicida Cesare Battisti furono concessi rifugio e impunità in Brasile, Tabucchi per protesta contro quel governo rifiutò di intervenire al festival letterario di Paraty. Era un intellettuale libero da schemi e calato nel presente. Semplificarne o mistificarne ora le posizioni è un gioco infelice, che non serve a capire l’uomo, prima che il letterato. Tanto meno serve a capire noi stessi, o a tutelare l’immagine di Israele.

Dario Calimani, anglista