La cosiddetta poesia

Della cosiddetta poesia di Günther Grass, nella quale il Nobel esprime il suo sdegno umanitario per l’inaudito delitto compiuto di chi, minacciato di distruzione da qualcuno, osa fare capire che, chi sa, forse, nel caso, potrebbe anche provare a difendersi (ma come si permette?!), già si è scritto abbondantemente, anche su queste pagine. Dove si è, come sempre, risollevata l’eterna, insolubile, noiosissima questione del presunto antisemitismo del ‘poeta’. Le sue sono idee antisemite, o semplicemente sbagliate? Conviene rispondere nel merito, come si fa con le posizioni che non si condividono, o piuttosto bisogna protestare del solo fatto che certe idee esistano e vengano fatte circolare, come si suole fare di fronte a proclami dichiaratamente violenti o razzisti? Purtroppo, le domande sono sempre le stesse, e le risposte anche.
Non evocheremo, come è spesso stato fatto, il passato militare di Grass, nella divisa del Führer, in quanto non ci pare un elemento particolarmente determinante per interpretarne le attuali posizioni. Non siamo razzisti (noi), e non riteniamo che avere appartenuto, in gioventù, a un esercito al servizio di uno Stato razzista determini un marchio indelebile di razzismo. Dovrebbe, se mai, sollecitare una maggiore attenzione e sensibilità su questioni di coscienza, trattenendo, per esempio, dallo schizzare disinvoltamente veleno contro i nipoti degli stessi, vecchi nemici di un tempo. Ma si tratta di sottigliezze, e valgono, comunque, soltanto per coloro che una coscienza, più o meno, ce l’abbiano. D’altronde, non è certo necessario essere nazisti (o ex) per essere antisemiti. Questo è quello che una certa cultura di sinistra ha voluto far credere per decenni, sdoganando automaticamente il suo antisemitismo ‘proletario’ (antifascisti e antisemiti insieme? impossibile!), ma è un trucco vecchio.
Non commenteremo quindi i versi di Grass. Soltanto, visto che, nella sua vita, è stato, per così dire, sia “di destra” che “di sinistra”, e che ha conosciuto l’Europa prima, durante e dopo la guerra, ci permettiamo semplicemente di sottoporre alla sua attenzione una pagina di un suo collega scrittore, Vasilij Grossman. Un autore che, pur appartenendo, come si sta cominciando a comprendere, alla ristretta cerchia dei più grandi scrittori di tutti i tempi, non ha certo potuto ricevere, in vita, gli onori di Grass, in quanto entrato nel mirino della censura sovietica. Il manoscritto del suo lungo romanzo storico Vita e destino, sulla battaglia di Stalingrado, fu confiscato dalla polizia, insieme alle minute, alla carta carbone e ai nastri della macchina per scrivere, in modo da cancellarne ogni traccia. Ma il testo, miracolosamente, si salvò, e possiamo così leggere le parole con cui Grossman immagina il discorso di un ufficiale nazista a un prigioniero russo: “Siamo i vostri peggiori nemici, è vero. Ma se noi vinciamo, vincete anche voi. Mi capisce? E se anche vinceste voi, noi saremmo spacciati, sì, ma continueremmo a vivere nella vostra vittoria. È una sorta di paradosso: se perdiamo la guerra, la vinciamo e ci sviluppiamo in un’altra forma pur conservando la nostra natura… Oggi vi spaventa l’odio che proviamo per gli ebrei, ma domani potreste fare tesoro della nostra esperienza. E dopodomani potreste quasi tollerarci”.
Una sola domanda, signor Grass. Secondo Lei, per l’Europa (e, magari, l’Iran, che Lei mostra di difendere) di oggi, che giorno è? Siamo arrivati al ‘domani, o al ‘dopodomani’?

Francesco Lucrezi, storico