purità…

La Parashà di questa settimana è una delle più complesse, specialmente a causa di due argomenti “scomodi”: il brano relativo alla Sotà (la donna sospettata di adulterio) e quello del Nazìr, la persona che per voto al Signore si astiene da qualunque derivato dall’uva e mira a mantenersi in stato di purità rituale, evitando il contatto con defunti. Il Midràsh, citato da Rashì, alla domanda sul perché i due brani siano contigui nella Torah, risponde che “chi vede una Sotà nel suo svergognamento si astenga dal vino”. È una raccomandazione problematica per più di un motivo. Innanzitutto, non è affatto detto che fosse così semplice assistere alla prova della Sotà, sia perché si può presumere che nella maggior parte dei casi essa si risolvesse in un nulla di fatto, sia perché non era un evento di così grande pubblicità, sia perché i Maestri dichiarano apertamente che tutta la cerimonia aveva soprattutto lo scopo di far sì che il marito, vedendo o prevedendo il peggio, si risolvesse ad interrompere la prova ed a seppellire i suoi dubbi. Inoltre, ammesso che la prova della Sotà avesse l’esito devastante previsto dalla Torah, in ogni caso il voto di Nazìr non si limita ad essere un’astensione dal vino (che teoricamente, se si giunge all’abuso, può essere causa di comportamenti devianti, di una rottura dei freni inibitori morali), bensì ad un’astensione da tutto ciò che deriva dalla vite, anche un semplice chicco d’uva o un goccio d’aceto sull’insalata! Non solo, ma il nazireato ci viene presentato dalla Torah come un voto religioso, un’offerta di sé a D.o, non un semplice rifugio fuori dai comuni comportamenti sociali per paura di conseguenze deleterie. Una possibile interpretazione ci viene proposta dai Maestri del Mussàr, che vedono in tutta la questione relativa alla Sotà un contrasto con la logica e con l’umanità: lo è il sospetto, lo è un’eventuale effettivo adulterio. Di fronte ad un simile contrasto in questioni così terrene, umane, è comprensibile che per allontanarsene si debba cercare l’elevazione giungendo anche in ambiti religiosi e spirituali all’eccesso, cioè alla ricerca di una purità fisica esasperata, di una capacità di astenersi da cose non di per sé vietate esagerata. Ciò – spiega il Rabbino di Gur – corrisponde all’indicazione dei Salmi: “Allontanati dal male – ed opera il bene”; in altre parole, per realizzarsi religiosamente, dove i valori sono travolti, non basta cercare di fare del bene: occorre operare preventivamente una separazione totale dal male. Dopo di ciò, viene insegnata la Birkàth Kohanìm, la benedizione che Aharòn ed i suoi discendenti invocheranno in tutte le generazioni su Israele. In essa abbiamo una perfetta fusione di elementi concreti (abbondanza, rispetto e pace) ed elementi spirituali (protezione, illuminazione e perdono divino). Difatti, una volta restaurati i valori basilari, la benedizione divina può raggiungerci solo se sapremo armonizzare spirito e materia.

Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica d’Italia