città…

Nel capitolo 4 di Devarìm che abbiamo letto shabbat scorso viene ripetuta la disposizione di costruire delle città rifugio per dare asilo a colui che ha commesso un omicidio involontario. Dopo aver elencato le tre città rifugio, stanziate al di lò del Giordano nel territorio delle tre tribù che si sono insediate fuori dalla Terra di Israele, la Torah cita un famoso verso che invochiamo con le mani alzate quando viene mostrato al pubblico il Sefer Torah: “…e questa è la Torah che Moshè ha posto davanti ai figli di Israele…” (Devarìm, 4; 44). Perché questo verso è collocato in questo contesto delle città rifugio? Quale è il senso di questa singolare contiguità? Disporre la Torah dinnanzi ai nostri occhi dovrebbere aiutarci a prevenire quella negligenza che potrebbe portare a commettere un omicidio involontario e vederci costretti in esilio. Ma ciò nonostante la Torah non dovrebbe mai trasformarsi in una “citta rifugio”. Il Talmùd (Makkòt 10 a) ci ricorda che la Torah costituisce un rifugio solo per chi se ne occupa con continuità ma non per chi ci si dedica nelle pieghe del tempo.

Roberto Della Rocca, rabbino