Voci a confronto

Nella pigrizia (nostra, non altrui) di metà agosto non campeggiano notizie tali da sollecitare l’attenzione collettiva oltre il livello di guardia. Va da sé che il Mediterraneo, con quanto è avvenenuto dal tardo autunno di due anni fa ad oggi, rimanga un’area assai poco serena. In Medio Oriente campeggia il confronto tra il presidente Moahammed Morsi e l’uomo forte dell’esercito, il feldmaresciallo (la carica parrebbe quasi ridicola se non fosse per il fatto che è ricoperta da un settantaseienne immarcescibile, personaggio da sempre di potere) Hussein Tantawi, comandante delle forze armate e ministro della Difesa fino a quarantotto ore fa. Il primo ha di fatto deposto il secondo, con un calcolato colpo di mano che era comunque prevedibile nei fatti ma non certo nei tempi né in queste forme tanto repentine. Così Fabrizio Battistini per il Corriere della Sera, Rolla Scolari su il Giornale, Azzurra Meringolo per il Messaggero, Alix Van Buren su Repubblica, Francesca Paci per la Stampa e Umberto De Giovannangeli su l’Unità. I giornali, di fatto, si soffermano quasi esclusivamente su questa notizia. Antonio Ferrari, su il Corriere della Sera, si interroga riguardo a quello che chiama «un golpe bianco con molte ombre», mentre Renzo Guolo su la Repubblica rimanda ad un quadro di merito le singole mosse che da giugno si succedono sullo scacchiere cairota e Vittorio Emanuele Parsi per la Stampa ragiona sul posizionamento dei singoli protagonisti. Al dimissionamento di Tantawi erano infatti preceduti il licenziamento del capo dell’intelligence egiziana Muraf Muafi e il pensionamento del capo di stato maggiore dell’esercito Sami Enan. Di fatto in Egitto si sta andando verso una diarchia, con lo scontro tra quella parte del potere civile che è adesso nelle mani degli islamisti e il Consiglio supremo militare. L’alleanza tra i “moderati” dell’una e dell’altra parte, nel nome dell’interesse comune ad un trapasso guidato, senza troppi scossoni, che non metta in discussione le molte prerogative e i numerosi interessi consolidati, non è detto che riesca a resistere, anche se c’è chi ha voluto leggere i cambiamenti di vertice di questi giorni soprattutto come un regolamento di conti tra fazioni contrapposte all’interno dell’istituzione militare. C’è poi il fatto che Morsi il «grigio», pur avendo vinto il confronto delle urne, ha una scarsa credibilità tra la popolazione. A parte i sostenitori della sua parte, quella islamista, che sono parecchi ma non così tanti da fare la differenza sul piano numerico, sconta un deficit di legittimazione che può pensare di colmare solo con una serie di misure politiche “popolari”. Tradotto in parole povere, il primo passo sarebbe quello di ridimensionare il potere dell’esercito, che è quello di una vera e propria holding economica e finanziaria, che controlla da sé settori vitali della sofferente economia egiziana. Nel merito di quest’ultimo aspetto si leggano anche Paola Caridi su la Stampa e le interviste, sulla medesima testata, di Ibrahim Refat al politologo egiziano Hazem Hosny e di Paolo Mastrolilli a Lawrence Korb. È improbabile, allo stato attuale, che le cose possano trascendere nella violenza, così come si è visto in altri paesi, a partire dalla Siria e dalla Libia. (Riguardo alla situazione damascena ci informa brevemente il Messaggero). L’articolazione dei poteri in Egitto è ancora relativamente solida e risponde ad un pluralismo che certo di democratico ha poco o nulla ma che tuttavia permette ancora di assorbire le tensioni che si sono accumulate in questi ultimi due anni. Dopo di che un nodo rilevante del confronto non è solo quello, tangibile, tra i Fratelli musulmani, che hanno capitalizzato le proteste dei mesi scorsi, e l’esercito ma tra i primi e i gruppi della salafia. Il nodo critico è il controllo del Sinai. Non è un caso se gli incidenti di una settimana fa, dove hanno perso la vita sedici uomini degli apparati di sicurezza, abbiano visto protagoniste le componenti militarizzate di quel fronte salafita che è arrivato secondo alle elezioni. Improbabile che la Fratellanza musulmana intenda farsi spiazzare da questo, e tuttavia il primo passo che deve ora compiere è il suo consolidamento all’interno degli apparati pubblici, fatto che implica il la revisione delle aree di influenza dell’esercito e delle sue propaggini politiche. Nei gironi scorsi erano peraltro circolate voci di un possibile colpo di mano da parte dello stesso Tantawi. Difficile dire quanto ciò risponda al vero e quanto, invece, sia il prodotto di una manovra di depistaggio per accreditare il commissariamento del ministero della Difesa, la creazione della carica di vicepresidente della Repubblica (di fatto inoperante dai tempi di Anwar Sadat) e, più in generale, una calcolata esibizione muscolare da parte dei vincitori delle elezioni presidenziali. Di certo si sapeva – e i fatti si incaricano di confermarlo – che la transizione in Egitto sarebbe stata lunga e complessa. A corollario di ciò, si aggiunga che l’ipotesi di una soluzione militare del dossier nucleare iraniano si è fatta oramai molto probabile. I quotidiani ci ritornano sopra, dopo gli articoli delle settimane scorse. Oggi infatti ne fanno menzione, sia pure con brevi di cronaca, il Giornale, il Messaggero mentre Repubblica e Financial Times sono più prodighi di informazioni e giudizi. L’autunno, come si suole dire in questi casi, si preannuncia caldo.

Claudio Vercelli