In cornice – I sorrisi mancati

Ieri si è tanto parlato di umorismo ebraico, domandandoci anche se abbia qualcosa di particolare, se ebraismo e ridere vadano a braccetto. Guardiamo la questione al contrario: nell’arte occidentale, ma anche orientale, la risata è quasi inesistente. I personaggi, certamente quelli sacri ma anche i profani, sono terribilmente seri, non fanno alcuna ironia o umorismo di se stessi o del mondo che li circonda. Ovviamente ci sono le eccezioni, a cominciare da Rembrandt che ha incentrato due, forse tre, quadri su visi che ridono; uno è un bel autoritratto che si trova al Mauritshuis all’Aja (un museo che da solo vale un viaggio), un altro è della moglie Saskia e si trova in una collezione privata, un terzo è di nuovo un autoritratto scoperto di recente e dell’attribuzione incerta, che è stato offerta in vendita in una casa d’asta della campagna inglese con una stima di circa 1.000 sterline ed è poi atto aggiudicato per diversi milioni. E’ davvero inusuale tutta questa predisposizione di Rembrandt alla risata e all’autoironia, in un ambiente così austero come l’Olanda in cui viveva; è facile pensare gli sia venuta dalla sua frequentazione con gli ebrei di Amsterdam con i quali aveva intensi contatti e nel cui quartiere visse a lungo. Un altro esempio, recente, di pittore di personaggi che ridono è il cinese Yue Minjun: i suoi personaggi/marionette, ridono senza alcun senso e motivo, e la loro risata dà la misura di quanto siano lontani dalla realtà, siano incapaci di vederla o di viverla. L’approccio dell’artista è quindi molto lontano da quello ebraico, ma indica quanto largo potrebbe essre il campo di utilizzo della risata nell’arte. Ma così non è l’arte, specie quella occidentale, rimane in genere terribilmente seria.

Daniele Liberanome, critico d’arte