Gilon: ” Gaza è un test per l’intera regione”

All’ambasciatore israeliano a Roma, la prima pagina di Pubblico (“Se fossero i tuoi figli”) non è piaciuta per niente. «Vogliamo parlare di figli? I terroristi di Gaza stanno sparando sui nostri figli dal 2009. Soltanto da gennaio, ci sono stati circa 800 attacchi fra razzi, missili e colpi di mortaio. È una media di tre razzi al giorno. Sotto tiro ci sono un milione di israeliani» spiega Naor Gilon, che mi riceve nel suo studio in ambasciata con il giornale ancora aperto sulla scrivania. «Le spiego cosa significa vivere con una minaccia simile alle porte di casa – aggiunge il diplomatico, prima ancora che l’intervista ufficiale’ abbia inizio – se vivi a Sderot sei sfortunato perché hai solo 15 secondi dal momento in cui partono le sirene con l’allarme al momento in cui il razzo va a segno, se sei più “fortunato” e vivi ad Askelon passano trenta secondi, se sei davvero molto fortunato e vivi a Beer Sheva o Ashdod passano 45 secondi…». Gilon si accalora. «Nessuno ne parla, ma tutto questo ha effetti psicologici tremendi anche sui bambini israeliani… Anch io ho tre figli in Israele in questo momento. La più piccola ha 18 anni, ma per me è ancora una bambina.
Il pensiero di essere qui al sicuro mentre loro scappa -no nei bunker a nascondersi dai missili non mi rende particolarmente felice».
In questo momento c’è una macabra matema -tica di morti. Da parte israeliana si contano sulle dita di una mano, sul fronte palestinese 000 «Perché ora? Abbiamo colpito per eliminare Jabari e i Fajr 5 arrivati dall’Iran» sono già un centinaio.
Gaza è il territorio più popoloso del mondo. I terroristi usano i civili come nascondiglio da cui sferrare i loro attacchi. Ci sono le foto aeree a dimostrarlo. Hanno costruito rampe da cui sparare i razzi vicino alle moschee, a 50 metri dalle scuole e dagli ospedali. Sembra quasi che vogliano provocare il numero maggiore possibile di vittime civili. Oltretutto sparano direttamente contro le nostre città, non hanno mai cercato di colpire solo gli obiettivi militari.
E voi?
Le nostre forze di sicurezza usano sistemi tecnologici all’avanguardia. Nessun altro è in grado di intercettare i razzi con una simile precisione. Abbiamo costruito bunker e nascondigli. Chiudiamo le scuole non appena sappiamo che deve partire un attacco. Prendiamo misure cautelari ogni volta che si crea in una situazione a rischio. Per questo i numeri sono dalla nostra parte. Ma quando passiamo alla rappresaglia, facciamo tutto il possibile per evitare vittime innocenti. Non è mai successo che puntassimo a civili.
Perché colpire adesso, proprio dopo la rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca?
Non c’è alcun legame con il voto statunitense. Oggi Obama sostiene Israele in modo molto chiaro, ma avrebbe fatto lo stesso anche prima delle elezioni.
Allora perché attaccare Gaza ora?
C’è stato un attacco contro una jeep israeliana che pattugliava il confine. Israele ha risposto colpendo obiettivi strettamente militari e il risultato sono stati 120 attacchi con razzi e missili da parte palestinese. Oltre a ciò, in questo momento avevamo l’opportunità di raggiungere due risultati per noi fondamentali.
Cioè?
Togliere di mezzo un pericoloso stragista come Ahmed Jabari (il capo militare di Hamas ucciso dagli israeliani all’avvio dell’operazione Pila -strodidifesa, ndr) ed eliminare i missili Fajr 5 che l’Iran stava passando agli alleati palestinesi dentro Gaza. Avevamo avuto informazioni precise d’intelligence che erano stati consegnati. Hanno un raggio d’azione di oltre 75 chilometri. Da Gaza possono raggiungere Tel Aviv e Gerusalemme. Parliamo di mezza popolazione dello Stato ebraico “sotto tiro”.
Diversi analisti israeliani hanno scritto che Gaza è una prova generale per l’Iran…
No, lo escludo. Se Israele volesse dichiarare guerra a Teheran, entrerebbe a Gaza via terra per piegare Hamas. Altrimenti sappiamo benissimo che una guerra contro Teheran significa avere addosso Hamas e l’Hezbollah libanese.
Avete richiamato migliaia di riservisti. Le intenzioni non sembrano pacifiche…
Non vogliamo muovere le truppe di terra. Stiamo evitando l’uso di artiglieria e carri armati. Usiamo armi “intelligenti”. Il nostro unico obiettivo è fare capire ad Hamas che non può andare oltre con tutti questi razzi e i missili. E una minaccia continua che non possiamo tollerare. Dobbiamo essere certi che ci sia un im – pegno chiaro a livello regionale per far sì che Hamas non torni indietro su questo punto. Serve una tregua sostenibile sul lungo periodo. Se Hamas e i paesi della regione si assumeranno questo impegno, il cessate il fuoco arriverà molto presto.
Sta dicendo che questo è un esame anche per i nuovi governi regionali, come l’Egitto dei Fra – telli musulmani?
Si, penso che questo sia un test per l’intero sistema. Qui si parla di stabilità dell’intera regione: dal Sinai a Israele, questo è un test concreto dopo i cambiamenti politici seguiti alle rivoluzioni arabe. Non dimentichiamo che dopo l’ operazio – ne Piombo fuso (alla fine del 2008, ndr) l’Egitto di Mubarak era stato fondamentale per farci raggiungere una tregua di due-tre anni. Cosa la preoccupa di più ora?
Un’Autorità palestinese che dal 2006 è stata cacciata dalla striscia di Gaza e non può assumersi alcuna responsabilità di ciò che accade. La stessa Anp che si rifiuta da quattro anni di se -dersi al tavolo del negoziato con noi, e poi va a chiedere di essere riconosciuta all’Onu. Mi sembra un suicidio politico.
Sta descrivendo una situazione senza speranza.
Siamo abituati alla violenza. Gli ebrei erano già perseguitati prima della nascita dello Stato di Israele. Da allora i paesi arabi ci hanno fatto la guerra manonostanteciò siamo stati ingrado di costruire uno dei paesi più avanzati a livello tecnologico, una democrazia liberale con una vita culturale molto attiva. Un’economia pro-spera con un tasso di disoccupazione molto basso. Siamo pronti ad accettare un’escalation di violenza, sappiamo che i nostri vicini non ac – cettano la nostra esistenza. Quello che stiamo cercando di fare ora a Gaza – come abbiamo fat -to in Libano nel 2006 – è deterrenza.
Ma il vostro obiettivo non è la pace?
Per ora ci limitiamo ad allungare il più possibile l’intervallo di tempo fra un’escalation e l’altra.

Pubblico, 20 novembre 2012