Elia Dalla Costa, Giusto fra le Nazioni La testimonianza di Massimo Della Pergola

Firenze, dicembre 1943. Il taxi riportò me, Adelina e il nostro bimbo di un anno alla Pensione Quisisana. Non avevamo altra scelta. La signora Nutini, proprietaria della pensione, nel vederci si mise le mani nei capelli e mi disse: “Voi ancora qui?” Dette un’occhiata al bambino e aggiunse: “Vi posso tenere per una o al massimo due notti, ma non di più”. Passammo quella notte disperatamente svegli, ascoltando il rumore dei camion tedeschi che si fermavano ad arrestare gli ebrei sul Lungarno. Adelina invocò un bombardamento aereo esprimendo il desiderio che una bomba cadesse su di noi e ci uccidesse, evitandoci l’orrore della deportazione.
Il giorno seguente avvenne una specie di miracolo, quasi inverosimile. Una signora fiorentina, la professoressa Sàrcoli, cattolica molto osservante, aveva ascoltato in chiesa alla messa delle sei del mattino la predica dell’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Elia Dalla Costa. Questi, coraggiosa personalità dotata di grandi valori spirituali e umani, aveva lanciato un appello ai fedeli: “In questi momenti ci sono delle persone che soffrono e si trovano in grave pericolo. Sono nostri fratelli. Cercate di aiutarli”. Alludeva naturalmente agli ebrei.
La signora Sàrcoli era anziana, devota, e insegnava letteratura in un istituto di suore. Dopo la messa, per nostra fortuna, si recò alla Pensione Quisisana a trovare la sua amica Nutini, e le raccontò d’essere rimasta molto impressionata dalle parole del Cardinale. “Ma io”, aggiunse, “non conosco nessun ebreo”. E la Nutini, senza esitazione, le rispose: “Ti manda la Divina Provvidenza. Ho qui in casa una giovane coppia ebrea. Mi fanno molta pena e hanno un bambino di un anno. Cerca di aiutarli”. Ci chiamò per presentarci alla signora Sarcoli. Eravamo molto emozionati quando lei ci disse d’andare a stare a casa sua, e aggiunse: “Io me ne andrò al convento dove insegno. Rimarrete soli a custodirmi la casa, ma mi raccomando di non parlare con nessuno, non fate alcun rumore, non aprite mai la porta e le finestre e non rispondete al telefono, che del resto non squilla quasi mai”. Ci trasferimmo nel suo appartamento di Via della Colonna, al pianterreno d’una casa senza ascensore e fortunatamente priva di portiere. L’appartamento era vasto e ben arredato. A noi pareva splendido e sicuro. Purtroppo non avremmo più rivisto la nostra salvatrice. Alla fine della guerra andai a Firenze nel 1945, per cercarla e ringraziarla, ma seppi che era morta da poco tempo. La signora Nutini ci disse che alcuni giorni prima di morire la nostra salvatrice aveva chiesto ai suoi parenti che l’assistevano: “Ma chissà se quei cari giovani si sono salvati”.

Massimo Della Pergola

(dal libro “Storia della SISAL e del suo inventore”, Laser Edizioni)