Un giornalista in prigione

Se non ricordo male nessuno finora a parlato ancora su questa rubrica della vicenda Sallusti. Per carità, l’argomento non riguarda direttamente l’ebraismo italiano, ma ritengo che l’arresto di un direttore di giornale sia una di quegli argomenti che dovrebbe portarci a riflettere. A prescindere dalla simpatia che si prova per Sallusti, ciò che dovrebbe indurci a pensare è il fatto che un direttore di un giornale sia condannato in quanto socialmente pericoloso. Perché, a parere dei giudici, potrebbe commettere ancora il fatto, ovvero scrivere un articolo o permettere che qualcun altro lo faccia nel suo giornale, esattamente ciò per cui è pagato. Speravamo infatti, che definire un giornalista un delinquente abituale fosse attività praticata ai tempi dell’Urss e non dell’Italia democratica di oggi. E per quanto possa apparire assurdo, poco importa che l’articolo per cui è stato condannato fosse realmente diffamatorio (lo era e gravemente). Il problema non è punire la diffamazione che è un reato, ma la pena smisurata che ad un altro giornalista di opinioni politiche differenti non sarebbe stata ma stata assegnata. Questo dovrebbe realmente preoccuparci; insieme al fatto che quella legge è un residuo della legislazione fascista, ma, a quanto pare, poco importa degli effetti che produce se a essere condannato è Sallusti e non qualcun altro.

Daniel Funaro, studente