sacrificio…

E (l’Eterno) chiamò Mosè…” (Levitico 1:1). Il Nachmanide (Moshe ben Nahman Girondi 1194-1270) spiega che siccome le azioni umane sono compiute attraverso il pensiero, la parola e l’atto, il Signore ha comandato che colui che commette una trasgressione presenti un sacrificio, imponga su di lui le proprie mani (per l’azione), reciti la confessione dei peccati (per la parola) e bruci nel fuoco le interiora (luogo del pensiero e del desiderio). Rav Ya’akov Arièh Neiman (Sefer Darchè Musar) sottolinea che dalle parole del Nachmanide si deduce il concetto fondamentale che c’è dietro l’offerta di un sacrificio: l’umiltà. Soltanto un “cuore affranto e umiliato” (Salmi 51:19) vede la sua offerta accettata. La Torà, attraverso la parola “ויקרא Vaikrà-e chiamò” scritta con la alef ze’irà (una alef א più piccola rispetto alle altre lettere), allude al fatto che l’acquisizione della qualità dell’umiltà sia il principio primo per avvicinarci a D-o e agli individui. In tempi in cui questa qualità si riscopre, quasi con un certo stupore, rav Ya’akov Arièh Neiman intende affermare come la Torà insegni – da sempre – che l’umiltà è la dote fondamentale per offrirsi ed essere graditi…

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova

(18 marzo 2013)