Emilia Taroli nel registro dei Giusti

“Una persona alta, dolce nell’animo e nelle parole che ci rivolgeva”. È questo il ricordo che Tina Dina ha di suor Paola, sua salvatrice, da oggi iscritta nel registro dei Giusti tra le Nazioni dopo una densa cerimonia svoltasi questa mattina a Vasto di Tremosine, nel bresciano, sua città natale.

Siamo nel gennaio del 1945. Le famiglie Dina e D’Angeli sono nascoste a Venezia dai coniugi Giulio e Stella Levorato, cui sarà prossimamente tributato il medesimo omaggio alla memoria (la cerimonia è prevista per il 23 maggio). Valutando l’impossibilità di trattenere in casa per un ulteriore periodo le due sorelle Dina, Giuseppina e Tina, Stella si rivolge a Emilia Taroli, in religione suor Paola, madre superiora e direttrice del convento Canal al Pianto, oggi soppresso, che un tempo si trovava nei pressi della casa di Santa Giustina. Sarà quello il luogo della salvezza, l’ultimo rifugio sicuro dalle insidie dei persecutori fino all’arrivo in città degli Alleati. “Le suore – scrive Tina nelle memorie inviate a Yad Vashem – capirono il nostro caso e ci accettarono senza problemi a patto che imitassimo tutto quello che facevano le altre bambine: andare in chiesa tutte le sere, inginocchiarci, farci il segno della croce, imparare bene le preghiere cattoliche. Il nostro cognome non era più Dina, ma Donà, tipico cognome veneziano; in compenso si mangiava qualcosina di più, soprattutto patate e formaggio, e non era poco a quel tempo”. Tra le varie testimonianze odierne quella del figlio Paolo, giornalista. “La mia famiglia – ha spiegato – non può che essere grata all’abnegazione, al cuore e alla forza d’animo di suor Paola. Di certo non era l’unica a sapere. Altre religiose anonime si prestarono a quell’opera di soccorso, anche se fu lei a tenere le fila, a impegnarsi in prima persona”. Ad intervenire anche la prima assistente dell’ambasciata d’Israele a Roma Sara Gilad, che ha consegnato la medaglia dello Yad Vashem ai discendenti della suora.

Il 23 maggio, come detto, l’omaggio ai coniugi veneziani. Era stata proprio una delle ‘piccole’ di casa Levorato, Margherita, a dare il via – indirettamente – alla procedura di riconoscimento da parte di Yad Vashem. Lo racconta Dina nella sua memoria: “Dopo la Liberazione – si legge in uno dei passaggi conclusivi – mio padre tornò alle sue attività e non rivedemmo più la famiglia Levorato fino ad un bel giorno del 2009 quando inaspettatamente ricevetti a casa una telefonata. Era Margherita Levorato, che piangendo mi chiese se fossi Tina Dina”. Una telefonata, cui aveva fatto seguito un primo commovente abbraccio a oltre 60 anni dai fatti, che ha riaperto il cassetto delle emozioni e spinto Tina, ignara che fossero ancora in vita discendenti dei Levorato, ad adoperarsi nei tempi più rapidi.

Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked

(12 aprile 2013)