Qui Trento – Economia per la solidarietà

“I’m picking up good vibrations” cantavano negli anni ’60 i Beach Boys. Il sogno Americano era vivo, gli Usa erano l’esempio da seguire, la potenza economica dove idee e aspirazioni si sviluppavano e diventavano realtà, i giovani fantasticavano pensando alle onde e al sole della California. Cosa è rimasto di quel sogno? Dove sono le vibrazioni positive in un Occidente messo al muro dalla crisi? Il confronto tra idee, il dibattito sul nostro futuro economico, ricostruire il pensiero di comunità: il Festival Economia di Trento si è aperto ieri con la volontà di mettere in gioco esperti e opinione pubblica per ripensare insieme il domani, per fare un quadro del presente e cercare di capire in che direzione sta andando il mondo. A dirlo, il consulente scientifico del Festival Tito Boeri – intervistato da Pagine Ebraiche nel numero di giugno – in occasione della conferenza stampa di apertura della rassegna. “Il Festival è giunto alla sua ottava edizione – ricorda Boeri – e ogni anno si rinnova”. Cuore del dibattito della quattro giorni di approfondimenti, la sovranità in conflitto. “Siamo a un punto di svolta sul tema dell’euro. Andare avanti o tornare indietro sono alcune delle domande che i paesi europei si pongono” ricorda l’economista, docente della Bocconi.

In un’Europa destabilizzata, rimasta senza punti di riferimento solidi, da sempre priva di una rappresentanza unitaria, il tema della sovranità monetaria assume un valore centrale per il proseguimento di un’idea di comunità europea. L’unione bancaria avrà necessariamente un ruolo cruciale nello sviluppo di un’economia veramente europea: su questo tema si soffermerà nella cornice trentina oggi pomeriggio Daniel Gros, direttore Centro europeo di studi politici di studi politici di Bruxelles e tra i protagonisti del Dossier Mercati e Valori di Pagine Ebraiche.
In attesa della visita del presidente della Camera Laura Boldrini e del primo ministro italiano Enrico Letta, il pubblico ha potuto apprezzare la lucida analisi della situazione mondiale del Nobel Michael Spence. Ricette facili non ci sono e l’Europa, secondo Spence, è meno preparata a superare la crisi che poi condanna in generale la politica dei paesi occidentali: «noi abbiamo smesso di investire, facendo una scelta intergenerazionale orripilante in quanto lasceremo i giovani con un debito sempre più grande». Nubi cupe sulle nuove generazioni, dunque, che secondo il giornalista Federico Rampini mettono in gioco tutti noi con una necessaria spinta dal basso per ottenere le riforme. “La risposta non può essere la rassegnazione ma una nuova cultura delle regole, una grammatica sociale nuova che spinga verso il cambiamento”. Protagonista di giornata, a giudicare dagli applausi a scena aperta ricevuti, è proprio Occidente estremo: vi racconto il nostro futuro del giornalista di Repubblica che racconta e si racconta attraverso le sue esperienze tra America e Cina. Perso di fatto il ruolo di guida nell’economia mondiale, gli Stati Uniti continuano ad essere il laboratorio delle idee per eccellenza nonostante le sue contraddizioni con un consumismo spinto all’eccesso che si riflette in una delle grandi piaghe sociali americane: l’obesità. “L’obesità è il simbolo di una società malata, di un materialismo ipertrofico che uccide” afferma Rampini, accompagnato sul palco da alcuni intermezzi musicali: da Mozart, alle note orientali, da Puccini ai Beach Boys anche la musica ci racconta di un mondo profondamente cambiato e dove le eccellenze del passato confluiscono nel presente. Perché la storia, la tradizione sono una chiave importante per guardare al futuro e, oltre la millenaria cultura cinese, anche la realtà ebraica avrebbe molto da dire, come sottolinea il professore di storia medievale Giacomo Todeschini, riflettendo sull’importanza del dibattito etico-economico e sullo spazio che potrebbe guadagnarsi l’ebraismo in merito. A maggior ragione in un mondo che vuole ritrovare la sua dimensione di comunità, modello ben noto alle varie realtà della diaspora ebraica. Non atomi che viaggiano autonomi. C’è la volontà di ritrovare quella solidarietà sociale, la volontà di confrontarsi, di dibattere e di guardare insieme al futuro: prerogative tipiche delle comunità ebraiche e che il grande pubblico rivive nell’esperienza dei Festival. Non è un caso, hanno ricordato diversi relatori a Trento, che le rassegne si facciano in piccole città, in realtà a dimensione umana dove le idee possono circolare e confrontarsi velocemente. Il dibattito è cosa nota, intrinseca al mondo ebraico e, come chiede Todeschini su Pagine Ebraiche, alla luce di una crisi globale di valori, l’ebraismo ha una grande possibilità di dire la sua alla società civile. Di dare il suo apporto grazie a una solida e millenaria tradizione che da sempre vive l’esperienza di comunità.

Daniel Reichel