Qui Trento – Protagonisti del cambiamento

Sovranità in conflitto evoca, tautologico a dirsi, un contrasto. Se pensiamo all’Europa, ci vengono in mente le manifestazioni greche contro la Germania, la retorica antieuropeista, la Troika che si irrigidisce sul modello dell’austerità a ogni costo, il primo ministro tedesco che bacchetta gli indisciplinati paesi del vacillante Vecchio Continente. Ciascuno rivendica le proprie diversità e tutti vogliono essere sovrani di se stessi. Eppure la crisi a messo a nudo questo modello di costante conflitto: dai tanti appuntamenti del Festival Economia di Trento emerge chiara la necessità di ripartire, di mettersi d’accordo per il bene comune. Proprio la crisi è un’opportunità per ripensare un sistema che, a giudicare dai risultati, non funziona. E i cittadini vogliono sentirsi protagonisti di questo cambiamento, vogliono capire e confrontarsi, partecipando al dibattito economico.
A Trento, racchiusi nel verde che circonda la città, si ha la sensazione, o forse l’illusione, che qualcosa possa cambiare. La grande partecipazione agli eventi, con teatri e aule universitarie piene, sembra raccontare di una società – almeno una porzione di questa – che vuole dare il proprio impulso, non solo presenziare ma essere, come si diceva, protagonisti. La curiosità è trasversale e anche Pagine Ebraiche riceve indirettamente un riconoscimento: le copie a disposizione del pubblico, al primo giorno di Festival, sono già praticamente esaurite. Segnale che anche la società civile è interessata a conoscere il punto di vista delle minoranze presenti al suo interno, in particolare in questo caso dell’ebraismo. In un’Europa divisa nei suoi particolarismi, dove l’economista Daniel Gros prevede che per l’unione bancaria ci vorranno almeno dieci anni (progetto a lungo termine), le minoranze possono dire la loro sulla questione della sovranità: la paura di molti governi e dei cittadini che rappresentano è di perdere la propria identità, cedendo ad altri la gestione delle questioni interne. Tra i paesi debitori e creditori, come sottolinea Marco Buti, commissario europeo per gli affari economici e monetari, non c’è fiducia. Ebbene proprio le minoranze, abituate a muoversi in equilibrio tra i diritti e i doveri, verso le proprie comunità così come verso l’esterno, potrebbero essere un esempio per questa Europa frantumata dai localismi. La cooperazione sembra l’unica soluzione per uscire da un momento di estrema difficoltà economica. “Chi comanda in Europa?” è tra le domande poste dagli organizzatori del Festival ai propri ospiti: la Germania la risposta più scontata. “Ma chi ubbidisce?”, si chiede Gros. Perché si possono dare direttive, stabilire tabelle di marcia, progettare riforme ma se poi nulla o poco viene messo in pratica, l’effetto è quello di parlare al vento. “La colpa della crisi – dichiarava il presidente del Consiglio Enrico Letta rispondendo alle domande di Ferruccio De Bortoli e Tito Boeri – non è del rigore ma della non Europa esistente”. Un’Europa morta a Sarajevo, a Srebrenica, sostiene il premier. Che sta morendo con il suo silenzio sulla Siria. Anche sul fronte della tutela dei diritti fondamentali non c’è accordo, non c’è la cooperazione necessaria. E poi il rischio è che in pericolo cadano proprio quelle minoranze, simbolo della diversità che divide e allo stesso tempo unisce l’Europa. Recuperare il valore della diversità, in conclusione, potrebbe essere una delle soluzioni per un progetto stabile di comunità europea. Condivisione di sovranità invece che conflitto. Rispetto dell’altro, fiducia e non imposizione. Considerazioni che emergono ad esempio dallo spettacolo “Lo straniero” di Fabio Ranchetti, docente di economia politica all’università di Pisa. In una selezione di brani, da Erodoto a Claude Lévi-Strauss, l’economista ci porta a riconsiderare la superiorità che, ad esempio, l’Occidente ha verso il resto del mondo, verso lo straniero appunto. Anche il discorso unificante di umanità viene messo in dubbio, perché differenza, diversità sono elementi connaturali alla nostra società, nonostante la globalizzazione. E sono elementi da valorizzare non da sacrificare: uno scambio di sovranità e non un’imposizione di uno su tutti.

Daniel Reichel

Trento – Il vaso di Pandora
“Stiamo parlando dell’economia delle economie”. Non è la Cina, non sono gli Stati Uniti, la Germania o i paesi del Bric. E’ il crimine organizzato: Roberto Saviano capovolge di fatto il discorso del Festival Economia di Trento aprendo il vaso di Pandora. Si è parlato di unione monetaria, di crisi delle rappresentanze, di tassi, spread e via dicendo. Ma ascoltando Saviano, al fianco di migliaia di persone, si ha l’impressione che tutto questo sia secondario. Zero, zero, zero, il suo nuovo libro racconta del traffico di cocaina nel mondo, dei legami tra Italia, Messico, Stati Uniti, banche. E’ un vortice che lascia senza fiato e Saviano incalza denunciando una realtà che fattura centinaia di miliardi di euro nel silenzio della politica. Si viaggia dalla violenza del cartello degli Zetas alle infiltrazioni camorristiche nel Nord Italia, in un panorama che non mette nessuno al sicuro. Ma parlarne è già un piccolo passo per creare un argine a un’onda dalle dimensioni mastodontiche. La consapevolezza, avere coscienza di ciò che accade in un mondo sommerso e malavitoso che si nutre delle debolezze dello Stato e dell’uomo per l’autore di Gomorra è una priorità. A giudicare dalle sue parole, la prima riforma necessaria è mettere al primo posto la lotta alla mafia. E una proposta che Saviano gira al premier Enrico Letta, con cui condivide a distanza di ore il palcoscenico trentino.

C’è un altro tema caldo che emerge dall’analisi su “Sovranità, proprietà e diritti” del giurista Stefano Rodotà che si chiede “chi sono i padroni del mondo?”. Google? Facebook? Qual è il ruolo di internet nella nostra vita? Un excursus storico sul diritto di proprietà che si conclude rimettendo al centro i diritti della persona. A preoccupare la questione già posta dal presidente della Camera Laura Boldrini, sul hate speech: la violenza verbale dilagante su internet e sui social network con recrudescenze razziste, xenofobe, sessiste. “Un ragazzo – racconta Rodotà – in una scuola una volta mi ha chiesto se fosse ‘costituzionale’ che alcuni compagni di classe (siamo alle medie) corressero attorno a uno gridando “ebreo, ebreo!”. Capite che la questione parte dalle scuole”. D’accordo con la Boldrini, Rodotà sottolinea la necessitò di una battaglia culturale che superi questi pregiudizi e questa violenza verbale. “Internet, youtube, sono lo specchio della nostra società; la rete rivela, è un termometro e – come si suol dire – non si cura la febbre spezzando il termometro”.
Se la rete non poteva non essere menzionata anche la questione giovani è all’ordine del giorno o meglio del Festival. “Il mio primo obiettivo – affermava il presidente del Consiglio Letta – è abbassare il livello di disoccupazione giovanile”. Dare lavoro alle nuove generazioni per restituire fiducia alle famiglie, per recuperare la speranza nel futuro, spiega Letta.
Criminalità, educazione, lavoro tre argomenti che apparentemente sono slegati ma che si intrecciano inevitabilmente: in una Paese dove non c’è la cultura della legalità, del rispetto verso l’altro si cade più facilmente nella violenza, nel sopruso. In un paese dove non c’è lavoro si rischia di ricorrere, ormai sfiduciati, a vie alternative, vie criminali. Ascoltando i tanti approfondimenti, le idee e provocazioni che rimbalzano da un palco all’altro, si rimane però soli con una domanda. “Tutto vero, ma quali sono le soluzioni?”. Parlarne, come sottolinea, Saviano è già un passo avanti, in attesa di un percorso concreto che reindirizzi una società apparentemente priva di una bussola.

Daniel Reichel (2 giugno 2013)