Ticketless – Beniamino Carucci, cento libri più uno

Un ingorgo di ricordi, questa settimana, non di treni. Viaggiando si ha più tempo di pensare alle persone che sono state importanti nella propria vita. Mentre leggevo L’attentato alla sinagoga di Schwarz e Marzano (Viella editore) è venuta a trovarmi a Firenze un’amica che sta raccogliendo materiale sulla figura e l’attività di Beniamino Carucci. Sono certo che Roma prima o poi degnamente ricorderà questo editore coraggioso che ha fatto così tanto per la cultura ebraica italiana (fra le tante cose pubblicò una raccolta di scritti su Israele di Carlo Casalegno). Sembra incredibile, ma si fatica a mettere insieme una copia dei cento e più libri che stampò fra anni Settanta e Ottanta. Leggendo il volume di Schwarz-Marzano mi sono ricordato che avevo conosciuto Carucci all’indomani dell’attentato davanti alla Sinagoga, nel quale suo figlio venne ferito. Nella prima delle lettere di lui che conservo, successiva ad un nostro incontro a Roma nell’autunno 1982, si dice che Benedetto “ne avrà ancora per qualche mese”.
In fondo Carucci era un anarchico, che s’infiammava davanti all’idea di un nuovo libro da pubblicare. Faceva tutto da solo, preparava i manoscritti per la tipografia, scriveva personalmente gli indirizzi sui pacchi dei libri che spediva; nelle lettere usava pennarelli di colore diverso come se volesse, scrivendoti, correggere un refuso nella tua vita. Un altro ricordo s’è affacciato alla memoria: il frammento contenuto in una lettera ricevuta nel 1985 da Arnaldo Momigliano. Voglio qui trascrivere la domanda che mi formulò il grande storico, scrivendomi da Chicago: “Chi è quel Carucci che, evidentemente sussidiato da istituzioni ebraiche, pubblica cose non volgari, di cui posseggo parecchio? Viene forse da Assisi?”.
Che Momigliano sapesse sempre tutto -e non sbagliasse mai- è cosa nota, ma quella volta era nel torto. Beniamino non fu mai sussidiato da nessuno. Faceva libri perché amava i libri.

Alberto Cavaglion
(5 giugno 2013)