L’eredità ebraica della Chiesa nella prima enciclica di papa Francesco

L’uomo, la religione, il rapporto con la fede. È il tema che attraversa la prima enciclica di papa Francesco, Lumen Fidei, presentata questa mattina in Vaticano. Con una tiratura iniziale di circa 500mila copie il documento – attesissimo – tocca nel profondo il rapporto tra ebraismo e cristianesimo mettendo in luce, con chiare parole, l’inestinguibile eredità ebraica di quest’ultimo. Numerosi i riferimenti e di grande estensione l’arco temporale coperto, dalla Bibbia fino ai giorni nostri.

“La fede ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia. È per questo che, se vogliamo capire che cosa è la fede, dobbiamo raccontare il suo percorso, la via degli uomini credenti, testimoniata in primo luogo nell’Anti­co Testamento” spiega Francesco nel primo capitolo, intitolato Abbiamo creduto all’amore. Centrale, nella sua riflessione, il riferimento alla vicenda di Abramo e al suo essere uomo di fede nell’affidamento della propria sorte alla Parola di Dio. “La fede capisce che la parola, una realtà apparentemente effimera e passeggera, quando è pronunciata dal Dio fedele diventa quanto di più sicuro e di più incrollabile possa esistere. Ciò che rende possibile – scrive il papa prendendo ad esempio il padre del monoteismo – la continuità del nostro cammino nel tempo”. La storia del popolo d’Israele nel libro dell’Esodo, sottolinea Francesco, proseguirebbe quindi sulla scia di questo atto di fede trovando nuova esplicazione in un successivo dono originario: l’apertura della collettività ebraica all’azione di un Dio “che vuole liberarlo dalla sua miseria”. La confessione di fede come racconto dei benefici del Signore e del suo agire per affrancare e guidare il popolo. Un racconto, si legge, “trasmesso di generazione in generazione”.

“A una prima rapida lettura emergono molti aspetti comuni ma anche differenze sostanziali. Tra i temi comuni – afferma il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni – la fede nei patriarchi e interessanti riflessioni su sfumature del testo ebraico-biblico. Una spiegazione di un brano di Isaia, in particolare, lascia intendere una buona conoscenza della lingua ebraica”. Per ciò che concerne le differenze, prosegue il rav, alcune riguardano proprio il tema della fede. Se da un lato vi è infatti convergenza sul tema dell’ascolto, ciò diventa “ovviamente impossibile” quando si parla di una certa visione della fede stessa. Ad essere continuamente citato un testo molto problematico come La lettera gli ebrei. “Ma, almeno in questo caso – sottolinea il rav – le citazioni non ne toccano i punti più difficili”. L’enciclica nel suo complesso risulta comunque emblematica “dello spessore teologico e pastorale di papa Francesco”.

Positive le valutazioni della storica e docente universitaria Anna Foa, voce molto presente su queste tematiche sia in campo ebraico che cattolico. “È un testo ricco di addentellati ebraici e, almeno a una prima lettura, senza formulazioni relative alla cosiddetta Teoria della sostituzione dell’Antico Testamento. A colpirmi – afferma – il passaggio in cui si parla di fede come memoria del futuro. E ancora, estremamente significativi i riferimenti al pensiero del filosofo ebreo Martin Buber per spiegare il concetto di idolatria e al Concilio Vaticano II come momento di svolta nel dialogo e nella reciproca comprensione”. L’auspicio, alla luce delle importanti considerazioni contenute, “è che le encicliche papali diventino oggetto di sempre maggior studio e attenzione all’interno dello stesso mondo ebraico”.

Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked

(5 luglio 2013)