Qui Mantova – Uno Shabbat per tutti

mantovacameriniI piatti della tradizione ebraica rivisitati in chiave mantovana. Le benedizioni, i canti, le spiegazioni dei vari momenti. E soprattutto la condivisione. Questi gli ingredienti fondamentali de “Lo Shabbat di tutti” la cena di shabbat molto speciale organizzata dalla regista Miriam Camerini il venerdì sera del Festivaletteratura di Mantova. Tutto esaurito per entrambi i turni, grande curiosità per la cena intervallata da letture di brani inerenti allo Shabbat, canti e rituali. “Meglio di così non sarebbe potuta andare – spiega Camerini – Sia il format, sia la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo sull’ebraismo sono stati molto apprezzati. E penso che fondamentale sia stata l’autenticità del momento”. Al tavolo anche Ronaldo Wrobel e Shani Boianjiu, autori di “Traducendo Hannah” (Giuntina) e “La gente come noi non ha paura” (Rizzoli), oltre all’ebraista Matteo Corradini.
“Spero ci sia presto l’occasione per riproporre l’evento” auspica la regista, che sarà impegnata in una performance ispirata alla cena di Shabbat anche a Milano durante il Festival di cultura ebraica Jewish and the City, di cui è parte del comitato promotore.
Riproponiamo di seguito l’approfondimento sull’appuntamento mantovano apparso su Pagine Ebraiche di settembre, attualmente in distribuzione.

Lo Shabbat? Per Miriam va servito in scena

Incontrare Miriam Camerini è come essere catapultati in un mondo parallelo dove ogni imprevisto è concesso. La colonna sonora sembra essere rubata a uno strano remix di Goran Bregovich e Il violinista sul tetto. In ordine di apparizione ci imbattiamo in un guru radicale, un negozio di bici vintage dentro il quale ci regalano un quadretto azzurro e un violinista vestito da bocconiano. La cornice perfetta è un bar storico nei pressi del Chiostro del Bramante; ci sediamo e facciamo il punto della situazione: Miriam è milanese di nascita e mitteleuropea d’adozione. Fin da quando muove i primi passi, un sogno le si piazza davanti chiaro e luccicante: la regia. Seguono anni di corse da una lezione di lettere alla Statale, al lavoro come maschera al Piccolo Teatro di Milano. E tra una pausa e l’altra riesce a creare intorno a sé un nugolo di amici artisti che la seguono in ogni avventura, credendo nel potere salvifico dello spettacolo. Ad accompagnarla nella crescita un altro nutrimento di cui si ciba voracemente: l’ebraismo. Dopo un periodo passato a studiare in Israele, si dedica all’insegnamento dividendosi tra Milano e Trieste. Nel curriculum può vantare la maternità di ben tre pièce teatrali: Il Golem, Un grembo, due nazioni, molte anime, che tratta il periodo del Risorgimento e Il mare in valigia, uno dei suoi figli più amati, dedicato alla poetessa Else Lasker-Schüler: “Else era una donna pazzesca, viveva letteralmente dentro i caffè di Berlino e quando si è trasferita nella futura Israele si circondava di personaggi come Martin Buber e Gershom Scholem. Eccentrica ed eccezionale, ha passato un intero periodo travestita da principe egiziano”. Questo era il cappello necessario prima di introdurre un nuovo atto nella vita da performance di Miriam Camerini. “Ho sempre amato il Festivaletteratura di Mantova, che era ogni anno una tappa obbligata. In ogni edizione c’erano tantissimi ospiti israeliani ed ebrei, laici o meno e in ogni edizione c’era uno Shabbat. La domanda, dopo aver fatto questa addizione, è sorta spontanea: ma cosa combinano di Shabbat? Possibile che siamo così tanti e non ci sia un evento che ci raccolga insieme ad accogliere l’entrata del sabato?” A questo punto la macchina si è messa in moto coinvolgendo gli amici ed artisti di sempre; Miriam ha contattato gli organizzatori del Festival e si è decisa ad organizzare una cena sabbatica con i fiocchi. “Gli organizzatori sono molto efficienti e disponibili, alla mano e professionali”, dice con gli occhi sognanti. Ci saranno due turni per cenare, uno alle otto e uno alle dieci e mezza e potranno partecipare in tutto tra le cento e le centoventi persone. Una sorta di prima e seconda serata. Cosa devono aspettarsi gli interessati ed i curiosi? “Ci tengo molto a trasmettere il significato profondo dello Shabbat, la sensazione che colpisce intimamente ogni ebreo, che sia osservante o meno. Un mio amico mi ha detto una volta che anche se non religiosi, noi ebrei, siamo sempre definiti attraverso la regola”. Oltre ad una cena kosher style, affidata alle sapienti mani di Gilberto Venturini, cucinata prima e riscaldata sulle piastre e che ricreerà i sapori della Mantova ebraica, bisogna tenersi pronti per balli, canti tipici e letture di brani tratti da vari scrittori che descrivono il loro modo di vivere lo Shabbat. E non solo, seduti tra i commensali, ci saranno gli ospiti del Festival: l’ebraista Matteo Corradini, lo scrittore brasiliano Ronaldo Wrobel, l’israeliana Shani Boianjiu, autrice di La gente come noi non ha paura. “Vorrei che si creasse un clima rilassato nel quale, davanti a un piatto, si possano fare domande liberamente agli ospiti. Non ci saranno tempi morti, siamo pronti a ravvivare continuamente l’atmosfera”, assicura Miriam. Ma cosa è per l’ideatrice dell’evento lo Shabbat e come lo vive? ” Il sabato ebraico è un fatto identitario ed allo stesso tempo universale, estendibile al mondo. Quando lo spieghi a chi non è ebreo, la sua reazione può essere un indizio chiave per conoscerlo in battibaleno. C’è chi capisce immediatamente e chi no. C’è chi ti canzona e chi ti facilita nell’impresa. Qualche anno fa a Mantova parlavano Howard Jacobson e Jonathan Safran Foer ed io mi chiedevo come fosse che eravamo tutti e tre lì senza passare lo Shabbat, il giorno che condividiamo, insieme”. A seguire Miriam e aiutarla ad allestire la scena, gli artisti e amici, Valeria Perdonò e Luca Piva. “Mentre cercavo la mia strada e mi facevo domande su me stessa, sono stati proprio gli amici a farmi notare che la cosa che mi rendeva maggiormente felice era il momento nel quale condividevo l’ebraismo e lo facevo conoscere a chi si mostrava interessato. Un ebraismo bello, amato, profondo e critico. In movimento. Il laboratorio che ha portato alla realizzazione dell’evento di Mantova, sono state delle cene organizzate in un ristorante milanese. Ogni lunedì aprivamo un dibattito di argomento ebraico davanti alla tavola: dai problemi etici alla kasherut”. L’idea di base è quella del seder di Pesach, un pasto che ha la sua sceneggiatura eppure lascia una certa libertà. Perché proprio il Festival di Mantova? “L’importanza degli eventi realizzati in ambito ebraico non basta. Trovo sia importante lavorare in altri ambienti e realizzare progetti comuni”, conclude. Fiori freschi, tavole imbandite, canti e chiaro di luna saranno gli ingredienti necessari per uscire fuori dalla frenetica quotidianità e immergersi nella placida e confortante atmosfera della cena di Shabbat, mettendo dietro il sipario uno dei momenti più significativi, poetici e profumati della vita di ogni ebreo.

r.s. Pagine Ebraiche, settembre 2013

(9 settembre 2013)