Tea for Two – Il mio Kippur

silvera“Anche questo anno è fatta”, questa è la frase che sigilla da sempre il mio Kippur. Improvvisamente i volti tesi si rasserenano, le rughe si distendono con botox naturale ed i bambini diavolacci che bevono peccaminosi succhi di frutta, diventano di nuovo creaturine alle quali sorridere bonari. La verità è che a me Kippur mette ansia. E non solo a me, le mie amiche ed io siamo esperte del settore. Non è la fame e nemmeno la sete (e qui contravvengo alla famosa regola dell’ebraismo romano: “Nun è tanto la fame ma ‘a sete”) ma il grado di estraneità a preoccuparmi. Ho deciso per il secondo anno di errare per i templi come da tradizione e ho avvertito un malessere davvero inopportuno. Mi sono sentita fuori luogo. Un alieno. Prima dagli ‘un po’ radical’, poi da sneakers griffate e abiti bianchi, percepivo il mio senso di non appartenenza. Ed è questo il primo errore per cui esiste Kippur. Pur digiuna, peccavo proprio in questo giorno mentre camminavo facendo la raminga. Bisognerebbe sospendere il proprio giudizio per un giorno ed avere l’umiltà di essere giudicati. Bisognerebbe smetterla di pensare: “Caio non mi ha salutata, è un maleducato ma tanto la sua ragazza ha dei brutti capelli”. Eppure ero lì macchinosa che mi dimenavo tra la voglia di essere odiosa e quella ancora più forte di essere migliore. Poi sono approdata al mio tempio, che non sento poi così mio ma che in confronto sembrava un focolare accogliente e ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima: entrare ed assistere alla funzione. Fino ad ora avevo sempre avuto la scusa della folla all’entrata, ma questo Kippur niente da fare. Mi sono seduta e mia madre mi ha passato il discorso di Rav Di Segni, del quale sono una fan della prima ora. E mentre un coro di affamati pregava con veemenza, ho letto il suo elogio di una comunità difficile come quella romana, di una religione complessa come quella ebraica. Forse l’inizio di una riconciliazione con questo mondo che alle volte mi fa impazzire? Nel quale i sentimenti vanno controllati e gli alimenti pure? Allora, dopo più di venti anni, posso dire di aver fatto il mio primo Kippur.

Rachel Silvera, studentessa

(16 settembre 2013)