Qui Roma – Il ministro Kyenge: “Ferramonti e Lampedusa, destini incrociati”

Kyenge Ferramonti “Quando una persona sta affogando, ha bisogno solo di una cosa: di una mano”. Di una mano avevano bisogno i migranti di Lampedusa, uomini, donne e bambini coinvolti in un viaggio della speranza finito per molti in tragedia. La stessa speranza che nutrivano settant’anni fa migliaia di ebrei in fuga dall’Europa nazifascista, che cercavano di salpare dai porti del Mediterraneo per sfuggire alla deportazione. Un viaggio a contrario rispetto ai profughi di Lampedusa ma sempre in direzione di un futuro migliore, con la speranza di una mano tesa che spesso si tramutò in violenza e deportazione. Una sorte con molte similitudini, dunque, che è stata sottolineata oggi dal ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge in occasione della presentazione a Roma, nella sala della protomoteca in Campidoglio, del documentario “Ferramonti il campo sospeso” di Cristian Calabretta. “Guardando il documentario, alla storia del campo di internamento di Ferramonti, alla storia della nave Petcho non possono non tornarmi alla mente le immagini delle salme di Lampedusa”, ha spiegato il ministro dopo la proiezione del documentario, presentato dal presidente del Museo della Shoah Leone Paserman, da Gianfranco Bartalotta, docente dell’università di Roma Tre, da Costantino Di Sante dell’Istituto Storico Pesaro Urbino . “Sono stata quest’estate a Ferramonti – ha spiegato il ministro – perché è importante essere vicini alla storia, alla memoria; è importante perché si possa avere un cambio culturale che si rifletta sul nostro presente e futuro”. Richiama alla responsabilità il ministro, la responsabilità storica di fronte all’ingombrante passato di cui l’Italia spesso si dimentica: Ferramonti di Tarsia, in Calabria, fu un campo di concentramento fascista in cui migliaia di ebrei, soprattutto stranieri, furono deportati e imprigionati dal giugno del 1940 fino alla liberazione nel settembre del 1943. Tra loro, il padre di Leone Paserman che oggi ha ricordato come durante la guerra decine di paesi si rifiutarono di dare rifugio agli ebrei in fuga; una politica di respingimenti che accomuna il destino dei profughi di oggi. “La storia si ripete”, ha dolorosamente sottolineato Paserman.
“In pochi in Italia conoscono cosa è accaduto a Ferramonti – ha spiegato il regista Calabretta – e quando ho iniziato a lavorare su questo progetto mi sono scontrato con due tendenze: c’era chi minimizzava, dicendo che in fondo non era paragonabile ai Lager nazisti e chi semplicemente ne ignorava l’esistenza”. Rompere questo silenzio è stato il motore per la creazione del documentario con una risposta importante da parte di molti testimoni. “Ho ricevuto diverse chiamate dall’estero di persone che volevano dare il proprio contributo – ha detto il regista – e voglio anche ringraziare la comunità ebraica per il suo aiuto e sostegno”. Calabretta cita poi il giornalista Ugo Ojetti, “l’Italia è un Paese di contemporanei senza antenati né posteri perché senza memoria di se stesso. Dobbiamo recuperare la memoria – ha concluso il regista – perché è necessaria per ciò che siamo e ciò che saremo”.

Daniel Reichel

(7 ottobre 2013)