Periscopio – Poesie

lucreziLa poesia ebraica – intesa tanto come creazione di autori ebrei, quanto come opera di tematica ebraica – si è recentemente arricchita di due pregiati volumetti, differenti quanto a impostazione, linguaggio, argomenti toccati, eppure accomunati dalla non comune sensibilità che emerge dai versi delle due sillogi. Autrici due donne, compositrici di fama già consolidata, a cui deve andare il nostro ringraziamento per aver saputo sollevarci dalle nostre pene e inquietudini con parole leggere e dense di significato, destinate, certamente, a lasciare una traccia durevole.
Crediamo che il modo migliore di rendere omaggio alle due poetesse sia quello di offrire ai lettori di “Pagine Ebraiche” un breve esempio dei loro versi, invitandoli – se ritengano che possa valerne la pena – a leggere anche le altre.
Il primo dei due volumetti a cui ci riferiamo (dell’altro diremo mercoledì prossimo) è la raccolta Sono donna che non c’è, apparsa per i tipi dell’editrice Aracne. Autrice, l’italo-croata Suzana Glavas, personaggio ormai molto noto nel panorama culturale, nelle sue molteplici vesti di poetessa, linguista (è docente di lingua croata presso l’Università “l’Orientale” di Napoli), comparatista, ebraista: suo, in particolare, il merito di avere tradotto e divulgato presso il pubblico italiano testimonianze poetiche croate – relative, in particolare, alla Shoah – di straordinaria importanza, destinate, senza il suo intervento, a restare del tutto ignote.
La raccolta (corredata di una penetrante prefazione di Maria Roccasalva) ci offre dei componimenti particolarmente concisi, nei quali la sintesi, anche estrema, del linguaggio, sembra fare da contrappunto all’importanza e all’urgenza del messaggio trasmesso, che ci fa apparire le liriche come altrettante gocce distillate di senso: piccole, preziose testimonianze di presenza, dolore e speranza.
Riportiamo due delle composizioni, emblematiche della capacità dell’autrice di racchiudere, in pochi versi minimalisti, grandi tematiche antiche, che sembrano riecheggiare nelle sue parole, moltiplicandone la forza evocativa:


Dibbuk
Tu sei / il mio turbante di poesia / il mio fondale turbato / che te ne vieni / che te ne vai / con doni di mera magia

Sukkot
Tante capanne ha / il deserto del cielo aperto / ma un solo rifugio è certo: / l’anima.

Francesco Lucrezi, storico

(23 ottobre 2013)